Aldo Rosselli (1934-2013)
Mercoledì scorso, dopo lunghi anni di malattia sopportata con coraggio, è morto a Roma lo scrittore Aldo Rosselli, intellettuale sensibile e raffinato la cui opera di narrativa e acuta riflessione critica meriterà di essere studiata e inserita nella storia della letteratura italiana più di quanto non sia avvenuto finora. Nato a Firenze nel dicembre 1934, era figlio di Nello Rosselli, lo storico del Risorgimento, antifascista, assassinato in Francia insieme al fratello Carlo da sicari del fascismo italiano nel 1937. La nonna paterna Amelia Pincherle Rosselli, lei stessa scrittrice e madre amatissima di ben tre figli morti “per la patria” (il maggiore, Aldo, era caduto volontario nella I Guerra Mondiale, e di lui il nostro portava il nome), fu influenza fondamentale e figura di riferimento per tutta la famiglia anche negli anni a seguire, durante il lungo esilio dapprima in Svizzera e Inghilterra e poi negli Stati Uniti, e infine nel ritorno in Italia nel dopoguerra. Nel 1956, a poco più di vent’anni, Aldo fu socio fondatore insieme all’amico Roberto Lerici della rinnovata casa editrice Lerici, che fino ad allora si era occupata di opere scientifiche, e che i due amici trasformarono in casa editrice letteraria, aperta alle letterature del mondo. Grazie alla sua sensibilità di lettore e ai suoi contatti americani, nella sua veste di editore il giovane Rosselli diede un contributo di straordinaria importanza alla conoscenza italiana di grandi scrittori quali Henry Roth e Isaac Bashevis Singer, che fu appunto la Lerici a pubblicare per la prima volta in Italia all’inizio degli anni sessanta: “Satana a Goray” di Singer uscì da Lerici nel 1960, “Chiamalo sonno” di Henry Roth nel 1964. I molti ammiratori di questi scrittori, tra cui chi scrive questa nota di addio, non possono che essere grati alle edizioni Lerici e ad Aldo Rosselli per questa opera pionieristica, finora poco a lui riconosciuta. Nel breve arco di vita della rifondata casa editrice, 1956-1967, molte altre furono le voci importanti a cui la Lerici diede ospitalità per la prima volta in Italia: basti pensare tra gli scrittori di lingua italiana a Edith Bruck (come noto di origine ungherese, i cui primi due romanzi uscirono appunto da Lerici) e a Dacia Maraini, e tra gli stranieri a Roland Barthes, Witold Gombrowicz, Norman Mailer, per citarne solo alcuni.
Negli anni sessanta, con il graduale esaurirsi dell’attività editoriale, aveva inizio la produzione narrativa (e talvolta anche saggistica) di Aldo Rosselli scrittore, a partire dal romanzo “Il megalomane” (Vallecchi, 1964), seguito da “Ottoz” (1968), “Professione: mitomane” (Vallecchi 1971), “Episodi di guerriglia urbana” (Marsilio,1972), “La trasformazione” (Coop. Scrittori, 1977); “Psichiatria e antipsichiatria nel sud” (Lerici, 1978); “Zefiro” (Rizzoli, 1982); “La famiglia Rosselli” (Bompiani, 1983), “Una limousine blu notte e altri racconti” (Belforte, 1984), “A cena con Lukacs” (Theoria, 1986), “Il naufragio dell’Andrea Doria” (Bompiani,1987), “L’apparizione di Elsie” (Theoria, 1989), “Una favola a metà” (Giunti, 1994), “La mia America e la tua” (Theoria, 1995), “Dalla parte opposta della strada” (Empirìa, 1995), “Prove tecniche di follia” (Empirìa, 2000); “Boston, l’Aventino” (Empirìa, 2007): non soltanto romanzi, ma anche racconti lunghi e saggi-racconti, spesso segnati da una straziante ispirazione autobiografica, sovente narrazioni di nevrosi individuali, di coppia e collettive, che, come detto, meriteranno una lettura più attenta da parte della critica; così come la meriteranno le sue generose battaglie civili e iniziative culturali, inclusa quella più tarda di fondazione del quadrimestrale di cultura “Inchiostri”.
E’ noto il ruolo storico di Nello Rosselli, padre di Aldo, nel dibattito giovanile ebraico-italiano degli anni venti del Novecento. Il sentimento ebraico fu molto forte anche in Aldo, seppur spesso nascosto nelle pieghe della scrittura. Per chi voglia seguirne alcune espressioni, segnalo in particolare due testi: innanzitutto, nella bella raccolta “Una limousine blu notte”, il saggio-racconto di riflessione autobiografica sulla propria scrittura “Abitare questi anni”, in cui lo scrittore ha confessato in modo struggente i problemi posti ad un narratore ebreo italiano dall’assenza di una lingua dell’ebraicità analoga allo yiddish degli scrittori ebrei americani, in cui manifestare linguisticamente il proprio rapporto con il proprio ebraismo interiore; e, nel più recente volume “Boston, l’Aventino”, il racconto “L’anno 1938 del Professor Zabban”, storia del viaggio di ritorno di un giovane ebreo da Parigi alla città natale di Firenze, nell’anno delle Leggi Razziali anti-ebraiche emanate dal fascismo e dell’inizio delle persecuzioni.
Venerdì mattina, nel cimitero ebraico del Verano di Roma, si sono svolti i funerali di Aldo Rosselli. Il feretro è stato deposto nella tomba di famiglia, ove riposa anche la nonna Amelia, e dove Aldo desiderava poter giacere nel suo ultimo sonno. La tomba si trova all’ombra di un maestoso cedro del Libano, circondata da fitta vegetazione, ed è sovrastata da una grande pietra nera dalla forma selvaggia in cui sono incisi altri nomi di famiglia. All’ultimo saluto erano presenti tutti i fratelli, Paola, Silvia e Alberto, due dei tre figli, Giacomo e Monica, la prima moglie Emilia Noventa, rappresentanti dei Circoli Fratelli Rosselli di Firenze e Torino, il critico Renato Minore, insieme ad altre persone di famiglia ed amici: in tutto una trentina di persone. Alcune parole in ricordo sono state pronunciate da alcuni, all’ombra del grande cedro in una limpida giornata di sole.
Chi ha conosciuto Aldo Rosselli difficilmente potrà dimenticarne il lieve sorriso (“in quei sorrisi tenui”, ha scritto anni fa Igor Patruno, “brucia la complicità dell’adolescente con le tasche piene di disobbedienze e ‘giuste’ riserve mentali”), l’arguzia della conversazione, la dolcezza dei modi, la libertà di pensiero, il sostanziale anticonformismo, l’autoironia e l’intelligenza, e il modo in cui questi tratti e i traumi sottostanti si sono travasati nella scrittura e nell’azione culturale di colui che è stato felicemente definito (dal sociologo Carlo Bordoni) “uno scopritore perfido delle pieghe ambigue della realtà, e della mente umana” e un coraggioso “profanatore dei luoghi comuni”. Nel commemorare la morte dello scrittore, la Fondazione Circolo Fratelli Rosselli di Firenze ha scritto che questi “ha portato con onore il cognome dei Rosselli testimoniando nella sua vita i valori di Giustizia e di Libertà”. Pur senza enfasi, che mal si addice allo stile di questo uomo raffinato e gentile, questo giudizio può essere serenamente sottoscritto.
Elèna Mortara Di Veroli
(6 ottobre 2013)