Carlo Lizzani (1922-2013)
“Oltre a essere l’ultimo testimone vivente di quell’epoca, sono da sempre un cineasta con doppia personalità, da una parte regista, dall’altra studioso di cinema”. Così riassumeva se stesso Carlo Lizzani, deceduto ieri pomeriggio a Roma all’età di novantun anni. Nato nel 1922, è stato un antifascista fin dalla culla, ha partecipato come partigiano alla Resistenza romana, e la testimonianza di quegli anni è stata alla base di tutta la sua produzione cinematografica, in un tutt’uno col suo impegno civile, “senza incertezze su come voleva vivere il cinema che è comunicazione e impegno” come l’ha ricordato Francesco Rosi, suo coetaneo, collega e amico. “Un uomo serio che non si sottraeva, era buono, profondamente. Quando si è così si realizza un cinema che aiuta. Magari con i film non si farà del bene, ma si fa un cinema giusto”. Era questo il clima che si respirava in quegli anni del Neorealismo, come lo stesso Lizzani aveva raccontato in una testimonianza recente: “Quando per la prima volta lavorai con Rossellini era il ’45, avevamo ritrovato la libertà, sognavamo finalmente di fare un cinema libero e nuovo, ma non ci filava nessuno”. Ma quell’atmosfera, sempre secondo Lizzani, fu speciale e decisiva: “Ci frequentavamo tutti molto, non solo tra registi, ma anche con scrittori, musicisti, pittori. Da quelle serate, da quei confronti, è nato tutto, e forse quello è l’unico, vero, dato irripetibile. A copiare vecchi film si può anche provare, vivere in un altro modo è molto più difficile”. E così, dopo aver affiancato Roberto Rossellini come aiuto regista e sceneggiatore in Germania Anno Zero, il debutto alla regia è avvenuto nel 1951 con Achtung! Banditi!, realizzato grazie a una sottoscrizione di operai. E poi, una dopo l’altra, tante pellicole che hanno raccontato gli anni della Resistenza vissuti in prima persona da Lizzani nella sua città, Roma, fra cui Il gobbo e L’oro a Roma, che parla più nello specifico della tragica persecuzione nazista comunità ebraica della capitale. E poi più recentemente, nel 2007, Hotel Meina, il suo ultimo lungometraggio, che descrive un rastrellamento nazista avvenuto dopo l’8 Settembre del 1943, una storia tragica e dimenticata. Ma l’ispirazione a Lizzani è arrivata moltissimo anche dai libri, “la biblioteca di mio padre è stata una delle scenografie che mi ha maggiormente formato”, e così sono nati capolavori di trasposizione letteraria come Cronache di poveri amanti del 1954, tratto dall’omonimo romanzo di Vasco Pratolini, e Fontamara del 1977, basato sul romanzo di Ignazio Silone. E poi impegno civile e tanto successo anche per le fiction televisive come Maria Josè, l’ultima regina e Le cinque giornate di Milano. Nel 1999 l’Università di Torino, dove nel ’72 aveva girato Torino nera, gli ha attribuito la laurea ad honorem in Scienze della Comunicazione. E in effetti il suo impegno anche in un ambito più accademico è stato notevole: “La sua Storia del cinema italiano, più volte aggiornata, è ancora oggi un testo di riferimento per la ricchezza e la complessità dell’analisi”, sottolinea oggi su La Stampa Alberto Barbera, direttore della Mostra del cinema di Venezia. Che aggiunge: “Non posso non associare il ricordo di Lizzani ai quattro anni in cui diresse la Mostra del cinema di Venezia, dal 1979 al 1982. La sua fu una direzione illuminata e lungimirante, dopo anni di declino seguiti alla contestazione politica. Attorniatosi di collaboratori giovani e intraprendenti, Lizzani diede vita a un inedito modello di festival, che sarebbe poi stato imitato da tutti in tutto il mondo”. E proprio al Lido avrebbe dovuto essere nel settembre scorso per il documentario Non eravamo solo… Ladri di biciclette di Giovanni Bozzacchi. Ma fra i tanti ricordi commossi di queste ore, fra cui anche quello del Ministro della Cultura Massimo Bray, spicca quello del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ha inviato ai famigliari un messaggio di cordoglio: “La tragica notizia della morte di Carlo Lizzani mi addolora profondamente, per l’amicizia che ci legava da molti decenni e per tutto quel che ha saputo dare al cinema, alla cultura, allo sviluppo democratico del nostro paese: coraggio e passione della battaglia per la Liberazione dell’Italia dal nazifascismo, nella ferma valorizzazione e difesa dei valori della Resistenza, nella creazione artistica sempre radicata nella realtà e nei travagli della nostra Italia”.
Francesca Matalon
(6 ottobre 2013)