Vajont

tobia zeviA qualcuno sarà capitato di percorrere la vecchia strada statale che dalle Dolomiti bellunesi porta all’autostrada. Si evita il traffico nei giorni da bollino rosso. A un certo punto, sulla sinistra, si staglia la diga del Vajont. Rispetto alle immagini televisive è molto più alta e stretta, e non ci si immagina che dietro quel piccolo spicchio di cemento potesse essere racchiuso un lago così ampio e profondo. La diga è ancora perfettamente al suo posto, testimonianza di archeologia industriale ma anche della capacità umana di imprigionare la natura senza domarla (l’acqua saltò il muro gigantesco che non poteva forzare).

Nel cinquantesimo anniversario, ricordare la tragedia del Vajont è un atto dovuto e utile. Non ci avesse pensato meravigliosamente Marco Paolini, la gran parte degli italiani l’avrebbe già dimenticata. Forse per quel nome dal suono straniero, forse per la riservatezza della gente di queste parti, forse per indifferenza, forse perché è cambiato il mondo. Per questa ragione è utile ricordare il Vajont, per capire la storia italiana del Dopoguerra e il senso di quei fatti.

La diga fu costruita dal 1957 al 1960, in soli tre anni. L’Italia era affamata di energia e ricca di monti e di fiumi. Era l’Italia del progresso, dell’inquinamento, dell’arricchimento, della fiducia nel futuro. Un mix di ebbrezza e pericolo che trascurò i rischi, fece prevalere la sciatteria (vizio tipicamente italiano) e ammazzò migliaia di persone. Era un paese in cui si preferiva fare un errore in più che uno in meno. Un paese che viaggiava in treno e costruiva binari, come testimoniano ancora oggi le linee abbandonate abbarbicate sulla montagna (il treno arrivava fino a Cortina).

L’Italia era migliore o peggiore? Difficile dirlo. Certamente le persone campavano peggio e speravano di più. Ma fa impressione in parallelo con la Tav Torino-Lione: giusta o sbagliata che sia l’opera, non la si riesce a fare benché la decisione sia stata presa. É già costata molto più della diga e i treni-merce sono al palo. O il Ponte sullo Stretto, un’opera già costosissima che non vedrà mai la luce. Insomma, la tragedia del Vajont va calata nel contesto storico. Il progresso del nostro paese è è camminato anche sui cadaveri della povera gente di Lavarone e degli altri paesi. Oggi, per paura di sbagliare, preferiamo fare poco e niente.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas

Twitter: @tobiazevi

(8 ottobre 2013)