Periscopio – Il male radicale
“Se ne è andato un essere vivente, non un essere umano”. Rimarcando l’esclusione del defunto criminale nazista dalla famiglia del genere umano, Riccardo Pacifici ha meritoriamente inteso ricordare come non sia possibile parlare di “uomini” laddove i più elementari, fondamentali elementi di umanità siano così atrocemente e pervicacemente disprezzati e vilipesi. Nella famiglia degli uomini, ovviamente, non abitano solo i ‘buoni’, ma anche i peccatori, i malvagi. Non si può mai disperare, tuttavia, di potere trovare, al fondo dell’animo umano, una sia pur esile, sepolta, intermittente scintilla di umanità. Quella che, se non impedisce di sbagliare, impone però, per lo meno, dopo che il male sia stato commesso, di riconoscerlo, di dimostrare almeno un briciolo di pudore, se non di rimorso, o di vergogna, innanzi al dolore di chi quel male ha subito.
Ma, diciamo la verità, le nobili parole di Pacifici – a cui ci stringiamo in un abbraccio affettuoso, nel momento in cui, per l’ennesima volta, viene fatto oggetto di ignobili minacce -, più che una constatazione o una presa d’atto, esprimono un desiderio, un auspicio. L’auspicio e di desiderio che il male radicale sia bandito dalla civiltà umana, che tutti gli uomini – pur divisi da tante cose, e contrapposti, anche aspramente, gli uni agli altri – sappiano almeno ritrovarsi su un sillabario minimo di civiltà, almeno sull’idea che esista, che possa esistere, in qualche forma, in qualche modo, una coscienza, una voce interiore in grado, se non di provocare rimorso, almeno di fare chinare lo sguardo.
La granitica pervicacia, l’ostinata insistenza di Priebke nella sua assoluta scelta di male, invece, ha veramente, in sé, qualcosa di disumano, di diabolico. In tutta la sua lunga esistenza ha sempre rivendicato con orgoglio la sua scelta perversa, l’ha difesa puntigliosamente fino all’ultimo istante di vita. Il male, in lui, pareva qualcosa di altrettanto somatico delle sue ossa. Non poteva dileguarsi, venire meno. Se fosse vissuto mille anni, probabilmente, Priebke avrebbe sempre vissuto ogni suo anno, ogni suo giorno, ogni suo respiro da malvagio, da sadico: una assassino fiero del sangue delle proprie vittime.
È stato un uomo? O un semplice “essere vivente”? Vogliamo, vorremmo tutti pensare la seconda cosa, perché, in fondo, ci tranquillizza. “Noi” apparteniamo alla famiglia degli uomini, “lui” no. E proprio perché apparteniamo – o aspiriamo ad appartenere – a tale famiglia, disapproviamo coloro che hanno oltraggiato la bara del defunto. Quanto a coloro che hanno inneggiato alla sua memoria, contribuiscono a farci ricordare ciò che non va mai dimenticato, ossia che il male ha i suoi seguaci. Potenti eserciti e folle sterminate, come al tempo in cui Priebke sparava alla nuca di civili inermi, o sparuti drappelli di patetici ‘ultras’, come al giorno d’oggi. Comunque, Priebke non è mai stato solo. Il male esiste, e anche quello più disumano, più bestiale, appartiene pur sempre alla storia degli uomini.
Che la vicenda del boia delle Ardeatine serva come monito, valga a ricordarci che, tra i valori costitutivi dell’umanità, non c’è solo la pratica del bene, ma anche la resistenza al male. Che non finirà mai, finché la terra sarà abitata da esseri umani, o viventi.
Francesco Lucrezi, storico
(16 ottobre 1943)