16 ottobre – In marcia per la Memoria
Si parte da Santa Maria in Trastevere, l’arrivo è al Portico d’Ottavia. Una tradizione che si rinnova da 19 anni e che vede Comunità ebraica di Roma e Comunità di Sant’Egidio al lavoro per una memoria condivisa a prescindere dalle diversità culturali e religiose. Migliaia di persone in marcia. Una marcia silenziosa, composta, illuminata soltanto da tante piccole fiaccole nella notte del 70esimo anniversario del 16 ottobre 1943.
“Non c’è memoria senza futuro”, si legge sul grande striscione che guida il corteo. Sul palco le massime cariche dello Stato – dal presidente del Senato Pietro Grasso al presidente della Camera Laura Boldrini – e con loro il fondatore di Sant’Egidio Andrea Riccardi, i leader dell’ebraismo italiano e romano, Renzo Gattegna e Riccardo Pacifici, il rabbino capo Riccardo Di Segni, l’ambasciatore di Israele a Roma Naor Gilon, il sindaco Ignazio Marino, il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti. Ma soprattutto lui, Enzo Camerino, uno degli ultimi due sopravvissuti alla retata nel Vecchio Ghetto ancora in vita. Già ospite di papa Francesco, Camerino si commuove. “Abbiamo sofferto a causa di nazismo e odio, ma sono emozionato per tutta questa partecipazione. Se ci fosse stata questa sensibilità in passato – afferma – non sarebbe accaduto tutto questo”.
Memoria viva, Memoria per il futuro. Un invito che ha caratterizzato tutta la giornata del ricordo del giorno più buio per gli ebrei di Roma. A partire dalla solenne cerimonia svoltasi in sinagoga alla presenza di Giorgio Napolitano e nei numerosi appuntamenti che sono seguiti fino a tarda sera.
Come alla Stazione Tiburtina, dove è stata riposizionata la targa che ricorda quel luogo di deportazione e in cui si trovò ad agire l’eroico ferroviere Michele Bolgia, che spiombava i carri dei prigionieri. Parole in questo senso sono state spese dall’amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato Mauro Moretti. Al suo fianco il segretario della Cgil Susanna Camusso.
I nomi delle 1022 vittime della retata del 16 ottobre 1943. Si apre con questo drammatico elenco il percorso espositivo della mostra “La razzia degli ebrei romani” inaugurata ieri nel complesso del Vittoriano. “Una mostra dedicata per la prima volta al tragico passato della Comunità ebraica della Capitale ma che si rivolge a tutti gli italiani, perché si tratta della nostra storia, della storia italiana”, afferma il curatore Marcello Pezzetti, direttore scientifico della Fondazione Museo della Shoah. Dalla fine dell’Ottocento, passando per la prima guerra mondiale, fino alla deportazione, la mostra ripercorre la storia recente del mondo ebraico romano, ricostruendo, nomi, volti, storie di famiglie spazzate via dalla Shoah. Documenti, materiali, fotografie inedite che intrecciano la storia dei singoli con la Storia, richiamando responsabilità dello Stato italiano, i comportamenti del Vaticano e della società civile di fronte alle persecuzioni. Per la prima volta, inoltre, compaiono in una mostra – il cui coordinamento generale è di Alessandro Nicosia con la collaborazione della Fondazione Museo della Shoah – oltre 300 volti vittime della razzia. A presenziare all’inaugurazione, il presidente del Senato Pietro Grasso e il ministro dei Beni e delle attività culturali Massimo Bray, il cui ministero ha dato il patrocinio all’iniziativa. Al loro fianco il presidente dell’UCEI Gattegna, il presidente della Comunità ebraica romana Pacifici e il presidente della Fondazione Museo della Shoah Leone Paserman. Presente, tra gli altri, anche il giudice della Corte Costituzionale Giuliano Amato.
Pezzetti è inoltre tra i protagonisti del convegno “Memorie della deportazione degli ebrei di Roma”. A turbarlo di quei giorni neri, spiega, “è l’apparente normalità dei carnefici”. Un elemento che torna con forza nella mostra del Vittoriano. Riflessioni di grande intensità anche per quanto riguarda il rabbino capo rav Riccardo Di Segni, che ricorda la storia del padre Mosè; lo storico Andrea Riccardi, che racconta come il 16 ottobre rappresenti una svolta nelle percezione collettiva del dramma; la ricercatrice Betti Guetta, che si sofferma sulla zona grigia degli indifferenti; Doris Escojido, che illustra le sfide della Shoah Foundation; Fabio Levi, che traccia con parole chiare la lezione di Primo Levi. Ad intervenire anche il vicepresidente della Camera Marina Sereni, la parlamentare Milena Santerini, Stefano Pasta dell’Università Cattolica. In sala numerosi consiglieri UCEI, tra cui il vicepresidente Roberto Jarach.
Disseminate nella città, le pietre di inciampo ricordano i deportati, ricordano chi da campi di concentramento non è tornato. “Non ho potuto riabbracciare i miei cari, non ho un luogo dove deporre fiori per loro, mi sono rimaste solo le pietre d’inciampo ideate dall’artista tedesco Gunter Demnig”, scrive Piero Terracina, sopravvissuto ad Auschwitz, in una lettera letta ieri dal nipote Ettore in occasione della commemorazione organizzata in piazza Rosolino Pilo dal Municipio Roma XII. Sulle Solpersteine – sampietrini sui cui sono incisi nome e cognome del deportato, anno di nascita, data e luogo di deportazione e, quando nota, data di morte e posti davanti alle case da cui le vittime furono prelevate, progetto di cui è responsabile in Italia Adachiara Zevi – è la nostra memoria ad inciampare, sono un monito e un richiamo visivo costante perché non cada l’oblio sulle storie personali di uomini, donne e bambini romani, traditi dalla loro città e dal loro paese. “Il nostro impegno è promuovere la Memoria della Shoah” ha ricordato il presidente del Consiglio del Municipio XII Alessia Salmoni. Sono intervenuti il vicepresidente della Comunità ebraica di Roma Giacomo Moscati e il presidente del Municipio Roma XII Cristina Maltese, organizzatrice dell’evento.
Adam Smulevich
Daniel Reichel
(17 ottobre 2013)