Cultura e responsabilità
Ci sarebbe da scrivere un romanzo sulle avventure del registro elettronico. Non so se per tutte le scuole sia così, ma sospetto che non siano poche quelle come la mia, in cui il sistema è diventato obbligatorio prima di funzionare regolarmente. In teoria dovrebbe semplificare il lavoro degli insegnanti, e in effetti lo semplifica, considerato che potremmo anche evitare di preparare le lezioni perché tanto è probabile che passeremo l’ora intera a cercare di digitare correttamente assenze e giustificazioni tra le risatine e la compassione degli studenti. Il problema è che la maggior parte di noi si è messa in testa di far lezione lo stesso, e quindi per salvare un po’ di tempo con i ragazzi c’è chi si ferma alla fine della mattina a compilare tutto, chi si è comprato un tablet, chi passa i pomeriggi a lavorare sul computer di casa: le 18 ore settimanali sono diventate molte di più ma nessuno osa protestare per non essere considerato un nemico del progresso. Per noi ebrei, poi, non è stato di grande aiuto avere tre settimane a settembre con l’impossibilità di toccare un computer per tre giorni di seguito.
Tutto questo perché i genitori possano sapere in tempo reale se i loro pargoli sono andati a scuola o hanno tagliato, se sono arrivati in ritardo, che voti hanno preso. Da un lato questo forse ci eviterà le annose rincorse alle firme e i surreali colloqui con genitori che quando non ricevono nessun voto da firmare per mesi sono sinceramente convinti (perché i loro figli naturalmente dicono sempre la verità) che noi abbiamo partecipato a tutti gli scioperi possibili (compresi quelli dei metalmeccanici e dei piloti) e/o siamo andati a trascorrere un periodo di meditazione in Alaska. D’altra parte, però, come cresceranno i ragazzi schiacciati tra insegnanti e genitori che comunicano tra loro in tempo reale? Quali responsabilità impareranno ad assumersi nella stretta intercapedine tra la responsabilità degli insegnanti, tenuti a segnalare tutto e subito, e quella dei genitori, tenuti a informarsi costantemente? Certo, la trasparenza è un valore, ma è un valore così importante da far passare in secondo piano l’apprendimento, la cultura, il confronto di idee? Perché c’è il rischio che gli allievi si convincano che in fin dei conti il registro, se tutti perdono così tanto tempo a compilarlo, è l’unica cosa che conta davvero, mentre quello che si studia non è poi così rilevante.
Dunque il problema non è la nuova tecnologia in sé (che quasi sicuramente con il tempo migliorerà e ci renderà davvero il lavoro più facile), ma quale valore educativo può avere il modo in cui viene introdotta, quale messaggio si fa passare. Per noi ebrei la cultura e la responsabilità individuale sono valori essenziali, per questo mi mette a disagio il rischio di trasmettere inavvertitamente il messaggio opposto.
Anna Segre, insegnante