Oltremare – Niente applausi per Bethlehem
Alla fine dei film si applaude ancora, nelle sale israeliane. Come se ci fosse qualcuno dietro lo schermo o in cabina di proiezione che possa raccogliere quell’applauso come un successo, o il silenzio come poco apprezzamento del film. E’ un buon esempio della tendenza israeliana ad esprimere opinioni e sentimenti, cosa che entra in corto circuito con gli abbottonatissimi inglesi, per esempio, o con gli americani che esprimono sempre e solo il political correct senza alcuna forma di partecipazione personale in ciò che dicono. Per noi italiani – olei Italia – è invece naturale entrare nello stream di espressione continuativa e ad alta voce delle proprie opinioni. Come in Italia, sia calcio o politica. E al cinema, dopo le proiezioni è facile che parta un applauso, anche se di rappresentanza. Ma ieri sera niente. Silenzio, pochi commenti, e tutti via, a casa.
Il finale di “Bethlehem” in effetti è difficile, e sarei rimasta volentieri immobile a razionalizzarlo o almeno a lasciarlo decantare mentre scorrevano i titoli di coda, ma qui usa alzarsi nell’istante in cui finisce la pellicola filmata, e non ho potuto.
“Bethlehem” è il film israeliano scelto per gli Oscar di quest’anno, con 12 premi Ophir, i “Donatello” israeliani; ha fatto passaggi benauguranti a Venezia e a Toronto, ed è – davvero sorprendentemente – opera prima, sia del regista Yuval Adler che dell’attore protagonista Zachi Halevi. Racconta il rapporto in bilico fra paterno, fraterno, e amico/nemico fra un agente dei Servizi israeliani (Halevi) e uno dei suoi informatori, un adolescente di Betlemme. Intorno, la Gerusalemme negli anni degli attentati ad autobus e ristoranti quasi non si vede. Un film dall’etica sfaccettata, forte di uno sguardo senza troppi miti e con invece grande capacità di descrivere la realtà, sia israeliana sia palestinese, nelle sue laceranti imperfezioni.
Il pubblico non ha applaudito in sala, occupato invece a pensare, io credo.
(21 ottobre 2013)