L’etica della Torah e Kierkegaard
Nelle scorse settimane abbiamo letto la Parashah della Akedat Yitzhak (la legatura di Isacco).
Questa vicenda ha suscitato nei pensatori di tutti i tempi innumerevoli questioni filosofiche. Ne accenneremo solo alcune partendo da un punto di vista ebraico. E’ necessario precisare che nella letteratura rabbinica ci sono diverse domande e diverse risposte, molte opinioni e discussioni. Per questo motivo quanto segue non pretende di essere nulla di più di un semplice spunto di riflessione.
Cominciamo con due domande fondamentali: esiste un dovere assoluto verso D-o?
Si dà una sospensione teologica dell’etica?
Come può un padre uccidere il proprio figlio, in particolare un figlio promesso da D-o? Solamente perché D-o gli ha ordinato di farlo? Come può D-o, il D-o dell’amore e della compassione, della clemenza, della benevolenza e della bontà, come può questo D-o aver dato un ordine così crudele e disumano proprio a colui che Lo aveva svelato, il primo dei credenti, il primo Ebreo? Avraham era forse lacerato tra la lealtà a D-o e l’amore per il figlio? Cosa si aspettava D-o da Avraham? Come ha reagito Avraham e cosa voleva dimostrare? Nel complesso la Akedah è una prova per chi e perché?
Il bene e il male vengono entrambi da D-o e tutto è a fin di bene. Credere in D-o nonostante Do. Ma è sufficiente?
Per Kierkegaard la risposta è più semplice. Avraham ha posto tutta la sua fede in D-o, e questo è sufficiente. Colui che crede in D-o, per D-o può e deve fare tutto, qualsiasi cosa. Dopo aver ricevuto l’ordine di D-o, per Avraham fu più difficile risparmiare Yitzhak che trucidarlo. D-o chiede di rinunciare totalmente a noi stessi, una rinuncia totale della vita. Ad esempio di ciò viene citato spesso il verso di Luca: “Se qualcuno viene a me senza odiare il proprio padre, la madre, la moglie e i figli, i fratelli e le sorelle, e persino la propria vita, non può essere mio discepolo”.
Esiste una contraddizione con il comandamento di “ama il prossimo tuo come te stesso”? Esiste uno squilibrio fra il comandamento di amare D-o e quello di amare il prossimo?
Un tale principio si pone in evidente contrasto con la tradizione ebraica. Come è detto: “onora tuo padre e tua madre”. I Maestri nel Talmud interpretano: “il Signore ha collocato l’obbligo di onorare padre e madre prima di quello di onorare Lui stesso”. “È grande il dovere di onorare il padre e la madre, se il Santissimo, sia lodato il Suo Nome, diede all’onore dovuto ai genitori uguale importanza dell’onore dovuto a Lui”.
“Ascolta Israele, il Signore nostro D-o, il Signore è Uno”.
“Amerai il Signore tuo D-o con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le tue facoltà”.
“Amerai il tuo prossimo come te stesso”.
Insegnamento di Hillel: “Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te: ecco la Legge. Il resto non è che commento. Va’ e Studia”. Questa è Legge: “Amerai il tuo prossimo come te stesso, tutto quello che vorresti che il tuo prossimo faccia a te fallo tu al tuo prossimo”.
I nostri maestri hanno un punto di vista differente da Kierkegaard, mossi dal desiderio di redimere Avraham e il suo atteggiamento verso Yitzhak. Non è facile. Ritengono che la Akedah sia una prova duplice. D-o mise alla prova Avraham, e Avraham mise alla prova D-o. Nel primo caso, la prova è visibile, tangibile; nel secondo, si consuma nel cuore e nella mente di Avraham e D-o ascolta il cuore e la mente.
Avraham, data la sua enorme fede nella bontà e nella giustizia divina, sa che il proprio figlio non morirà sull’altare. Questo è il motivo per cui trova la forza interiore di sottomettersi all’ordine datogli da D-o. Come per dichiarare: “Signore dell’universo, vuoi la vita di mio figlio, la vuoi attraverso le mie mani? Hinneni, eccomi, ed ecco mio figlio! Adesso vediamo se veramente sarà necessario che io diventi lo strumento della sua morte! Io andrò fino in fondo! Sari tu a fermarmi!”.
L’intuizione di Avraham è corretta: D-o revocherà l’ordine. Avraham ha dimostrato di aver compreso bene il significato degli insegnamenti della Torah: D-o non potrà mai dare un ordine contrario alla sua stessa etica. D-o è la fonte dell’etica. La Torah quindi non può essere metaetica.
Quando Avraham sentì la voce celeste ordinargli di risparmiare il figlio Yitzhak, affermò: “Giuro che non mi allontanerò dall’altare prima di aver detto quel che ho da dire!”. “Parla” disse D-o. “Non mi avevi promesso che i miei discendenti sarebbero stati tanto numerosi quante sono le stelle in cielo?”. “Sì, te lo avevo promesso”. “E di chi saranno i discendenti?”. “Saranno i discendenti di Yitzhak”. “Signore dell’universo” disse Avraham, “avrei potuto dirti che il tuo ordine era in contraddizione con la tua promessa. Ho trattenuto il mio dolore e tenuto a freno la lingua. In cambio, voglio che mi prometti che ogni volta che i figli dei miei figli peccheranno, anche tu non dirai nulla e li perdonerai!” “Così sia” disse D-o. “Che continuino a raccontare questa storia e saranno perdonati”.
Questa è la ragione per cui si legge la storia della Akedah nei giorni penitenziali. Noi ricordiamo a D-o quella promessa. Ma a D-o non importò, per così dire, essere messo alle strette? Dice il Talmud: “Colui che è Santo, benedetto sia il suo nome, ama essere sconfitto dai propri figli”. Dio dice: “nitzchuni banai”, tradotto “i miei figli mi hanno vinto”, oppure “i miei figli mi hanno reso eterno”.
La Akedah è dunque una vittoria di Avraham contro D-o.
Questa vicenda ha suscitato nei pensatori di tutti i tempi innumerevoli questioni filosofiche. Kierkegaard ha dato la sua risposta.
I nostri Maestri hanno risposto diversamente: esiste un dovere assoluto verso D-o?
Esiste un dovere verso D-o ma al suo interno c’è spazio per la ribellione, per la discussione con D-o. D-o ha scelto l’uomo come suo interlocutore e collaboratore. L’uomo è socio di D-o. La fede ebraica è una continua lotta con D-o.
Si dà una sospensione teologica dell’etica?
La religione non è metaetica, non implica che D-o pretenda dall’uomo qualcosa di immorale dal momento che Egli è l’origine dell’etica. D-o non chiede all’uomo di sacrificargli suo figlio.
La vita è un luogo dove D-o si cela. E noi non siamo mai distaccati da lui, che ha bisogno di noi. I popoli vagano e delirano, ma tutto questo scalfisce appena la profonda, inavvertita e incompresa quiete.
Il rapporto tra D-o e Israele è un rapporto di amore. Il nostro amore per D-o non è che un riflesso del Suo amore per noi. Tuttavia tra coniugi amanti si può anche litigare. La sottomissione a D-o non esclude necessariamente la possibilità di critica a D-o, si pensi a nostro padre Avraham.
Avraham è un ebreo. Avraham è come Israel, suo nipote (Giacobbe), “ha combattuto con D-o”. Avraham fa un processo a D-o nei suoi silenzi. Avraham è uno che crede nella giustizia di D-o e nella verità di D-o non ostante il mondo sia un “mondo della menzogna”, un “mondo di caos”. Avraham crede in D-o nonostante D-o. Questo non esclude però che si possa discutere con D-o.
Paolo Sciunnach, insegnante
(28 ottobre 2013)