Arte ritrovata, voci a confronto
Oltre mezzo secolo chiuse a chiave in un appartamento di Monaco. Nascoste dietro pile di cibo in scatola, 1500 opere trafugate agli ebrei dai nazisti. Matisse, Picasso, Marc, Renoir, Chagall, l’elenco dei dipinti ritrovati in casa di un’ottantenne nullatenente ma dal corposo conto in banca, fa impressione. Un ritrovamento, avvenuto nel 2011 ma tenuto fino ad ora nascosto (stimato in oltre un miliardo di euro), che avrà un impatto enorme sul mondo dell’arte, aprendo una serie innumerevole di domande. La prima, quasi d’obbligo, come mai Cornelius Gurlitt, aveva in casa un numero così straordinario di opere? Come riporta la rivista tedesca Focus (che ha portato alla luce questa storia), il critico d’arte Hildebrand Gurlitt, padre di Cornelius, negli anni Trenta e Quaranta si occupò di acquistare e recuperare i dipinti definiti dai nazisti di “arte degenerata”, confiscati o rubati ai collezionisti ebrei. Da qui un’eredità quasi inestimabile lasciata al figlio, finita stipata in uno squallido (così lo ha definito Focus) appartamento della capitale della Baviera. Qualcosa di impensabile, per numero e i nomi degli artisti. Mentre gradualmente emergono i dettagli della vicenda, abbiamo chiesto pareri e riflessioni sull’accaduto ad alcuni esperti del mondo dell’arte, tra cui, Alessandra Di Castro, Daniele Liberanome, Sharon Reichel, Adachiara Zevi, concordi nel mantenere una certa cautela nei giudizi, vista la penuria attualmente di notizie.
“1500 opere è un numero mostruoso – sottolinea il critico d’arte Daniele Liberanome – quello che mi stupisce è come sia possibile che siano state ritrovate tutte insieme. Si tratta del massimo del panorama artistico, quell’arte degenerata che però ai nazisti piaceva”. Apre, come si diceva, molte domande questo quasi casuale ritrovamento: tutta la storia inizia nel settembre 2010 con un banale fermo per un controllo doganale della polizia tedesca su un treno diretto in svizzera. Cornelius Gurlitt – ora agli arresti per evasione fiscale e riciclaggio di denaro- fu trovato in possesso di novemila euro in contanti. Una cifra sostanziosa e così le autorità tedesche cominciarono a tenere d’occhio l’uomo, che intanto era riuscito a vedere a 864mila euro un’opera di Max Beckmann. Risalirono fino alla sua casa di Monaco dove nel 2011 trovarono in una perquisizione le opere, custodite ad oggi in un deposito di massima scurezza nei pressi della città. In questi due anni di silenzio, la storica d’arte Meike Hoffmann è stata incaricata dell’autenticazione di quello che è stato ribattezzato da qualcuno il “tesoro di Hitler”. La Hoffmann ha dichiarato alla stampa che almeno 200 opere sono registrate come “ricercate”.
“Un giudizio su quanto accaduto e sta accadendo mi sembra prematuro – riflette Alessandra Di Castro, direttrice del Museo ebraico di Roma – certo solleva molti quesiti: come sono state messe insieme queste opere, per esempio. Sono molte le variabili in un mondo, come quello dell’arte, molto preciso”. Cautela che sembra aver guidato anche le autorità tedesche che hanno cercato di mantenere il massimo riserbo sulla vicenda e molte questioni si aprono sul futuro delle opere. Intanto il mondo dell’arte e delle aste è in fermento, in attesa di notizie più chiare dalla Baviera. “Dietro ogni opera c’è una storia lunghissima, poi il numero fa impressione – afferma la storica dell’arte Sharon Reichel – se anche si scoprisse che un buon numero sono copie, sarebbe comunque interessante scoprire il perché i nazisti fecero questa operazione”. Il motore si è messo in moto e ora esperti da tutto il mondo, professionisti dell’arte, avvocati legati al trattamento di beni confiscati e rubati ai proprietari avranno di che lavorare per i prossimi anni. “Sarà molto interessante capire come si comporteranno con gli eredi di coloro a cui le opere furono sottratte”, riflette Adachiara Zevi, architetto e storica dell’arte. “Certo è difficile spiegare come in tutti questi anni un numero così elevato sia rimasto sottotraccia, benché nascosto”.
(4 novembre 2013)