Qui Roma – Viaggio nell’ebraismo sefardita
Segni disseminati in tutta Europa, un’orma più o meno visibile di una realtà frantumatasi nel 1492. Data che, nella memoria ebraica, riporta alla dolorosa espulsione degli ebrei dalla Spagna e il loro esodo verso altri lidi, tra cui il vicino Portogallo, l’Italia, l’impero Ottomano. Da allora l’ebraismo sefardita si è diffuso in tutta Europa, portando con sé i propri riti, canzoni, costumi. Un impronta rimasta impressa nei secoli e arrivata nel presente attraverso diverse vicende e influenze. Occasione per approfondire le peculiarità della cultura sefardita, da Sfarad (Spagna in ebraico) è stato l’incontro organizzato dal Centro di cultura ebraica di Roma e l’Istituto Cervantes. A discutere del tema il rabbino capo di Napoli Scialom Bahbout, la cantante Evelina Meghnagi, il direttore della Rassegna Mensile di Israel Giacomo Saban e la storica Myriam Silvera. Ad introdurre la serata – dopo i saluti di Sergi Rodrigues Lopez – Miriam Haiun, direttrice del Centro Ebraico.
Nella cultura ebraica sefardita attingono le radici della famiglia di Giacomo Saban, famiglia che cercò rifugio in Turchia dall’Inquisizione spagnola. “La lingua parlata dalle comunità sefardite fu portata nell’impero ottomano. Una lingua che non è propriamente lo spagnolo, ma che racchiude al suo interno diverse influenze. Ad esempio la terminologia cristiana legata alla domenica – domingo in spagnolo – tra i sefarditi si trasformò alhad (dall’ebraico al echad)”. Nomi di sinagoghe come Major o de Toledo, riportano subito alla mente un passato che richiama alla memoria la penisola Iberica. “Per gli ebrei – sottolinea Myriam Silvera – la cacciata dalla Spagna è un dolore da ricordare il 9 di Av, giorno luttuoso in cui si commemora la distruzione del Tempio di Gerusalemme”. Un esodo come fu dall’Egitto ma dal significato rovesciato, sottolinea la storica: il primo verso la salvezza, il secondo un esilio forzato con gli ebrei naufraghi dalla Spagna. Sui numeri degli esuli, si parla nelle ultime stime di 70mila persone. “50mila si spostarono nel vicino Portogallo dove nel 1497 furono poi costretti al battesimo, i così detti marrani”.
Sui caratteri tipici della liturgia del mondo sefardita si sofferma rav Scialom Baubout, che poi sottolinea il ruolo chiave di rav Chidà, grande maestro dell’ebraismo che fece di Livorno un luogo di primo piano nel modo ebraico sefardita e non solo. Il rav ricorda poi che discendenti di marrani, nel sud Italia, per generazioni all’interno delle proprie famiglie hanno tramandato usi e tradizioni del mondo ebraico. “E’ il caso ad esempio – racconta rav Bahbout – di due anziani che ogni venerdì sera accendevano i lumi in casa e a domanda sul perché risposero “nostra nonna ci disse che finché i lumi rimarranno accesi noi siamo vivi”.
Approfondimento sull’influenza che gli itinerari del ebraismo sefardita, passato appunto lungo diverse vie dell’Europa e dell’Oriente, è stato oggetto dell’intervento d Evelina Meghnagi. Un’influenza che ha avuto il suo riflesso anche nei canti e nelle melodie, “perché la voce è un bagaglio che ciascuno porta con sé”, riflette la Meghnagi che durante l’incontro ha dato un saggio delle melodie tipiche del mondo sefardita.
(6 novembre 2013)