responsabilità….

È noto il principio in base al quale “ma‘assè avòth simàn la-banìm”, ciò che accade ai Patriarchi va letto come segno per le future generazioni. Se ciò è vero per ognuno dei Patriarchi, è tanto più vero per Ya‘akov, che ricevendo il nome di Israèl diventa a tutti gli effetti il paradigma degli eventi futuri; ciò anche al punto che perfino l’interpretazione delle sue parole può essere letta come un messaggio per noi.
Incontrando i pastori al pozzo nei pressi di Aràm Naharàyim, sembra che Ya‘akòv, avute le informazioni richieste, li rimproveri accusandoli di pigrizia: “Ancora il giorno è lungo, non è ora di radunare il bestiame; abbeverate il gregge, ed andate a pascolare!”. Essi gli rispondono che per poter abbeverare il gregge bisognerà attendere che arrivino tutti i pastori, dato il peso della pietra che chiude l’accesso al pozzo. Tuttavia, quando compare Rachèl, Ya‘akòv sposta da solo la pesantissima pietra ed abbevera il gregge dello zio.
Questo è il racconto; ma da questo si possono reinterpretare le frasi fino a farne un messaggio valido quanto mai oggi. Molto spesso ci lasciamo crogiolare nella pigrizia: le comunità ebraiche sono in crisi, l’ebraismo si mantiene a fatica, eppure noi stiamo ad aspettare, non ci muoviamo, quasi arrendendoci fatalisticamente; Israele – l’insieme dell’ebraismo – ci ammonisce che ancora non è tutto perduto, il giorno, il tempo dell’azione non è finito, abbiamo ancora la possibilità di abbeverarci alle fonti della Torah e – forti di questa linfa vitale – guidare ancora il gregge, guidare la nostra gente, condurla a vivere l’Ebraismo e non solo a farlo sopravvivere stentatamente. È però giustificata anche la nostra risposta: le nostre forze sono esigue e poco potremmo fare, bisognerebbe che a smuovere il macigno che ci impedisce di giungere alla meta si fosse tutti insieme; solo così si avrebbe la certezza di successo, solo se tutti gli Ebrei partecipassero alla propria salvezza, essa sarebbe garantita per tutti. Qui Israel non risponde; tuttavia viene il momento in cui riesce in sé stesso a trovare la forza per abbeverare quello che può, compiendo da solo un’opera impensabile; ed è vero che molte volte nuclei ebraici che in base alle leggi della demografia, della statistica, non avrebbero alcuna possibilità di sopravvivenza, per uno sforzo inimmaginabile precedentemente, per l’impennata di una o poche persone, riesce a risalire in qualche modo la china, a recuperare il suo Ebraismo, a dare la sopravvivenza a chi ha bisogno di tutto.
A nessuno è imposto di operare miracoli; ma credo fermamente che ognuno di noi ha almeno la facoltà di fare qualche piccolo miracolo, se non altro per sé. Essere discendenti di Ya‘akòv significa anche questo.

Elia Richetti, presidente Assemblea rabbinica italiana

(7 novembre 2013)