Qui Livorno – Bioetica, esperti a confronto sulla milah
A Livorno il ciclo di incontri su “Ebraismo e Attualità” promosso dalla Comunità e dal Dipartimento Educazione e Cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane è partito quest’anno con un incontro dedicato alla questione della circoncisione infantile. Hanno partecipato rabbini, professori, medici e mohalim (ovvero coloro che praticano la milah) tra cui rav Yair Didi , rabbino capo della Comunità ebraica di Livorno, rav Levi Hezkia e rav Shmuel Hezkia, Daniel Cassuto, chirurgo plastico e mohel, Daniela Ovadia, neuropsicologa e giornalista scientifica e il Daniele Bedarida, medico dentista e consigliere UCEI che ha moderato l’incontro.
Il 1° ottobre 2013 il Consiglio d’Europa ha approvato un documento non vincolante nel quale afferma: “la circoncisione senza ragioni mediche è una violazione dell’integrità fisica dei figli” e chiama i 47 stati coinvolti a “promuovere un dibattito, che includa il dialogo interculturale e interreligioso per raggiungere un ampio consenso sui diritti dei bambini alla protezione contro le violazioni della loro integrità fisica secondo gli standard dei diritti umani”. Non solo: gli stati membri vengono invitati ad “agevolare specifiche norme legali per assicurarsi che alcuni interventi e pratiche non vengano eseguite finché il bambino non è abbastanza grande da essere consultato”.
Rav Yair Didi, appena tornato da un importante congresso rabbinico tenutosi a Berlino, ha fatto presente che lo stesso presidente del Consiglio europeo proprio al Congresso rabbinico ha denunciato sia la matrice “anti-islamica” di tale provvedimento sia la diffusa ignoranza attorno alla pratica della milah e ha assicurato che questo documento non ha alcuna forza decisionale.
La milah, spiega rav Didi, costituisce una delle norme ebraiche fondamentali e ha diverse motivazioni: essa non sancisce solamente un patto identitario, ma è un atto di purificazione spirituale – come ha spiegato anche rav Shmuel Hezkia – e fisica, innegabilmente utile alla salute. La motivazione sanitaria è quindi sicuramente, secondo i rabbanim, una ragione fondamentale. I rabbanin non a caso si soffermano sulle modalità di come la milah debba essere praticata: all’ottavo giorno, quando il bambino ha una sensibilità ancora non del tutto sviluppata e in determinate condizioni fisiche. Quali problemi possono dunque sorgere?
Daniela Ovadia spiega che da un punto di vista bioetico i problemi possono essere i seguenti: 1) La milah è un atto chirurgico non motivato da una ragione terapeutica. 2) È un atto irreversibile compiuto per scelta dei genitori. 3) Il consenso deve essere ottenuto da entrambi i genitori o tutori, in forma scritta. 4) L’atto deve essere compiuto da personale medico o comunque certificato. 5) Non deve essere doloroso. Per risolvere tali questioni bisogna determinare ciò che non è negoziabile per noi, chiarire quali sono i valori etici dietro il gesto rituale e renderli espliciti, stabilire con l’autorità statale quali sono i margini legali entro i quali tale pratica può essere considerata accettabile. Alcune soluzioni a questi problemi potrebbero quindi essere le seguenti: 1) Estendere alla milah la norma del consenso informato, per cui ai genitori devono essere spiegati i possibili effetti collaterali e le eventuali complicanze dell’intervento. 2) Dare solo ai medici la valutazione di idoneità del bambino (cioè l’autorizzazione a procedere alla milah stessa e la certificazione dello stato di buona salute). 3) Richiedere il consenso esplicito (con firma) di entrambi i genitori. 4) Autorizzare la pratica della milah solo in un ambiente medico che rispetti le norme richieste per qualsiasi pratica di piccola chirurgia. 5) Autorizzare la milah solo in presenza di un medico e solo per mano di moalim che hanno seguito una formazione riconosciuta anche dallo Stato.
La questione fondamentale e più spinosa da sciogliere rimane quindi quella medica: possiamo affermare l’opportunità “terapeutica” della milah? La medicina può dare una risposta e può evidenziare le modalità ottimali di tale pratica. Daniel Cassuto fa notare quanto tutte le accortezze mediche siano previste dalla halakhah. Infatti la halakhah e la medicina non sono due cose separate: tutte le decisioni rabbiniche in merito alla milah, spiega, sono dovute a ragioni mediche e non solo spirituali. Il problema è che spesso oggi queste ragioni non sono conosciute e quindi dobbiamo ritrovarle ed esplicitarle attraverso lo studio odierno. E’ indubbio che la milah debba avvenire per mano di un mohel certificato o medico competente nelle migliori condizioni igieniche. Non c’è differenza sostanziale tra le due figure, se entrambe preparate, ma in Italia, in caso di complicazioni a seguito di una milah – e non esiste nessun intervento che non porti rischi di complicazioni! – la legge vuole che se non è un medico ad avere la responsabilità dell’atto chirurgico in questione, tale intervento non è difendibile.
La normativa ebraica prevede anche l’utilizzo di tecniche igieniche più moderne che salvaguardino il bambino da possibili infezioni durante la procedura della milah: ad esempio la halakhah permette oggi l’utilizzo di un piccolo tubo o addirittura di una semplice garza per la “Metzizà bepé”, ovvero il “risucchio del sangue per bocca”. Questa pratica effettuata senza il contatto diretto della bocca previene la trasmissione di infezioni. La halakhah infatti permettere modalità differenti e più sicure rispetto al passato laddove vi sia il semplice dubbio di rischio di contagio. Anche per quanto riguarda il dolore, sebbene secondo la halakhah non vada eliminata del tutto la sensibilità, questo può essere alleviato con creme anestetiche.
Rav Levi Hezkia, che ha praticato con successo numerose milòt per 45 anni, ha raccontato la propria esperienza di mohel: attenersi con cura alle norme ebraiche e igieniche, porsi in ascolto del neonato, sono tra gli elementi per garantire la buona riuscita dell’intervento. E’ bene astenersi e rimandare la milah quando venga percepito qualche problema da parte del bambino.
E’ fuori luogo infine, spiega Cassuto, parlare della milah come di un intervento estetico infantile inutile. La milah è sicuramente un intervento chirurgico preventivo (se non possiamo definirlo proprio “terapeutico”): negli USA infatti, dove gli uomini circoncisi dalla nascita sono molto di più, si è visto che nella metà del XX secolo, 11mila persone non circoncise sono morte per cancro al prepuzio, mentre abbiamo 5 casi di neonati morti per il contagio di erpes da parte del mohel che non sapeva di esserne portatore. Inoltre non tutti sanno che l’Organizzazione della sanità mondiale e l’ufficio preposto delle Nazioni Unite hanno già preparato un piano per circoncidere l’80% dei neonati nel mondo per evitare la trasmissione di malattie virali, tra cui l’AIDS ma non solo. E ancora, la circoncisione difende le donne dal tumore all’utero – innumerevoli studi clinici lo dimostrano – e nessun principio bioetico sancisce il diritto a infettare altre vite umane.
Date tutte queste considerazioni l’attacco alla milah ha diverse matrici, ma sicuramente l’ignoranza e le differenze culturali rimangono determinanti. Non a caso, evidenziano sia rav Yair Didi che il professor Cassuto, la polemica contro la milah è una vecchia storia: già i Greci e i Romani l’avevano proibita. Secondo rav Kook, spiega rav Didi, questa proibizione nasceva dall’intolleranza verso una pratica che univa, nelle sue motivazioni e nella sua realizzazione, la sfera spirituale e materiale. Anche Paolo Di Tarso andava in giro dicendo che si dovevano circoncidere i cuori invece dei prepuzi, sottolinea Cassuto, per non parlare poi di tutto il movimento riformato in Germania due secoli fa. Non è certo quindi il Consiglio europeo a porre un problema nuovo: per dirla come Albert Einstein, conclude il professore “il miglioramento delle condizioni in tutto il mondo non dipende in maniera essenziale dalla conoscenza scientifica ma dalla realizzazione delle tradizioni e degli ideali umani”.
Ilana Bahbout, coordinatrice Dec UCEI
Ilana Bahbout, coordinatrice Dec UCEI
(20 novembre 2013)