Ticketless – Studiare Francesco

cavaglionNon parlerò di papa Bergoglio, ma del Francesco che gli ha dato il nome. L’ultima fatica di Valerio Marchi, che da anni scava nella stampa cattolica di fine Ottocento (“L’affare Dreyfus e l’accusa del sangue”, Del Bianco) stimola molte domande al lettore. Ne formulo soltanto una, cruciale per la storia del Novecento ebraico-italiano. Quali figure la stampa cattolica reputava inaccettabili? La prima è nota: Cesare Lombroso, il simbolo del positivismo. Così si spiega l’evoluzione di padre Agostino Gemelli e del suo antisemitismo. Meno noto il ruolo simbolico che ha avuto il primo ministro Luigi Luzzatti, in quanto ebreo, ma soprattutto per un elemento della sua personalità, che Marchi fa risaltare con abbondanza di fonti. Fra le tante altre colpe di Luzzatti vi era quella di aver studiato l’opera di Francesco d’Assisi, in particolar modo di aver scritto articoli sui “Fioretti”. Per la stampa cattolica, non solo a Udine, era questa una vera infamia. Poco più tardi accadrà lo stesso con alcuni studi di Alessandro D’Ancona sulle origini della letteratura italiana e più tardi, sotto il fascismo, le cose non cambieranno di fronte al lavori sul Manzoni pubblicati da Attilio Momigliano.
Il dilemma libertà-cultura è fondamentale nella storia del Novecento ebraico. Una liberaldemocrazia cessa di essere tale se prevede separazioni nel mondo degli studi. Le pagine di Marchi sul caso Luzzatti offrono non soltanto agli specialisti un metro di giudizio per valutare la libertà di una cultura. Si è tanto più liberi quanto maggiore è la capacità di studiare scientificamente il mondo di chi ti sta vicino. Il problema ha due volti, naturalmente. Non è ovviamente matura nemmeno la democrazia in cui solo le donne studiano la storia delle donne, solo gli omosessuali la storia degli omosessuali, solo gli ebrei la storia degli ebrei.

Alberto Cavaglion

(20 novembre 2013)