Limentani: “Sono io il cocciaro dei papi”
L’amico, il confidente, il tramite per la realizzazione di un incontro che avrebbe riscritto la storia dei rapporti tra ebrei e cristiani. Imprenditore, esponente di una delle famiglie benemerite della Roma ebraica, fornitore della Santa Sede dall’apertura delle porte del ghetto, David Limentani apre il cassetto dei ricordi per regalare ai lettori un affresco straordinario e inedito sui giorni che precedettero la visita di Giovanni Paolo II in sinagoga. Un racconto che lo vede protagonista al fianco del rabbino emerito Elio Toaff e che Limentani ha voluto riportare nel suo primo libro di memorie, “Il cocciaro del papa”, che Pagine Ebraiche racconta in anteprima e che entrerà nel circuito distributivo a partire da domani, giovedì 5 dicembre, in occasione del grande salone romano dell’editoria “Più libri, più liberi”.
L’amico, il confidente, il tramite per la realizzazione di un incontro che avrebbe riscritto la storia dei rapporti tra ebrei e cristiani. Imprenditore, esponente di una delle famiglie benemerite della Roma ebraica, fornitore della Santa Sede dall’apertura delle porte del ghetto, David Limentani apre il cassetto dei ricordi per regalare ai lettori un affresco straordinario e inedito sui giorni che precedettero la visita di Giovanni Paolo II in sinagoga. Un racconto che lo vede protagonista al fianco del rabbino emerito Elio Toaff e che Limentani ha voluto riportare nel suo primo libro di memorie, “Il cocciaro del papa”, che Pagine Ebraiche racconta in anteprima e presto andrà in stampa con la casa editrice Giubilei Regnani (curatrice del volume la giornalista Laura Costantini). È “un giorno come un altro” quando dal Vaticano arriva, a sorpresa, una convocazione. David crede a uno scherzo del cugino Aldo, sparring partner di battute e azioni goliardiche, e infatti finisce con il farsi chiudere il telefono in faccia dal suo interlocutore. E invece, come appurerà in seguito, è tutto vero: Wojtyla vuole conoscerlo. L’invito viene accolto e i due, in un clima disteso e cordiale, parlano un po’ di tutto. Poi Wojtyla arriva al punto: “So che lei è amico intimo del rabbino Toaff. Come pensa reagirebbe se esprimessi il desiderio di visitare la sinagoga?”. È la domanda che cambierà il corso degli eventi. David è sorpreso ed emozionato: sarà lui a riferire la proposta al rav e a fare da intermediario con il Vaticano. Ci racconta questo aneddoto, riportato nel libro, nel grande negozio-magazzino di famiglia al Portico d’Ottavia. È là da generazioni. Nel suo studio privato quadri e vestigia del passato – a partire dal ritratto di Leone il vetraio, capostipite – danno il senso di un impegno con pochi eguali. Da Porta Pia alla chiamata di Wojtyla passa oltre un secolo. Sulla scia della Nostra Aetate e della nuova stagione di dialogo apertasi con il Concilio Vaticano II il papa, consapevole delle aspettative ebraiche in materia, capisce che è arrivato il momento per un salto di qualità. In Vaticano Limentani è accompagnato dalla moglie e dai figli. La confidenza arriva in disparte, con una ferma raccomandazione: si tratta di una vicenda top secret. La proposta viene confidata in prima istanza a Limentani perché, spiega ironicamente lui stesso, se la cosa non fosse andata a buon fine sarebbe stato più facile smentire un “povero bottegaio giudio” rispetto ad altri interlocutori più accreditati. “Wojtyla disse che si sarebbe andati avanti per le vie diplomatiche ufficiali soltanto se Toaff avesse accettato. Così – racconta David – andai immediatamente a riferirgli la proposta”. In Comunità rav Toaff, che sapeva dell’invito, lo attende con una certa curiosità. Il dialogo sarebbe andato più o meno così: “Allora, che t’ha detto?”. “Vuole venire a trovarla in pompa magna qui. Alla sinagoga”. “Dai, sii serio, dimmi la verità”. “È la verità, Professore, le assicuro. Anzi, aspetta una risposta in tempi brevissimi”. Passano alcune ore e viene convocata una teleconferenza cui partecipano rabbini da tutto il mondo. Domande, risposte, idee: negli uffici comunitari sono momenti febbrili. “Non capivo bene cosa si dicessero perché parlavano tutti nelle lingua della Torah, ma dall’espressione di Toaff – spiega Limentani – mi rendevo conto che era soddisfatto. Quando chiuse la conferenza, tirò un gran sospiro. Dopo soli cinque giorni tornai in Vaticano per dare conferma”. Con il via libera di Toaff si apre la trafila ufficiale: si studiano le strade e le ipotesi migliori, viene istituita una commissione congiunta il cui lavoro porta all’indimenticabile prima visita di un papa alla sinagoga di Roma. Negli anni a seguire, il rapporto del cocciaro con Wojtyla avrà modo di rafforzarsi ulteriormente. Nel 2000, con la realizzazione di un servizio di piatti per il Giubileo cui Limentani, su desiderio del papa, appone la seguente dedica: Iuncti ad pacem appetendam (uniti nel desiderio della pace). E ancora, in occasione del matrimonio dei figli, con l’invio – da parte dell’amico pontefice – di una lettera di auguri corredata di citazioni dall’Antico Testamento. Tanti gli incontri, tante le occasioni di confronto. E un ultimo emozionante commiato. E’ il 2 aprile 2005, la cristianità è in lutto per la scomparsa di Wojtyla. Il segretario di Stato Vaticano, monsignor Dziwisz, convoca entrambi – rav Toaff e Limentani – per un momento privato di preghiera. Si sofferma in raccoglimento rav Toaff. Fa lo stesso Limentani. “Stendere le mani su quell’uomo che aveva cambiato il mondo e un po’ anche me – ricorda oggi commosso – fu un’emozione fortissima. Intonai lo Shemah”.
Adam Smulevich (ha collaborato Lucilla Efrati)
Pagine Ebraiche, dicembre 2013-12-03
(4 dicembre 2013)