Il Bene che vince
Dopo una lunghissima attesa di decenni, ieri, a Firenze, è stata finalmente consegnata alla signora Vittoria Valacchi e alla memoria della signora Elena Cecchini l’onorificenza dello Yad Vashem di “Giusto tra le Nazioni”. È stato, infatti, grazie al coraggio di queste due donne e di molte altre persone “qualunque” che la famiglia dei miei nonni, con mio papà, le mie due zie e il mio bisnonno, è interamente sopravvissuta alle persecuzioni naziste, trovando asilo in un nascondiglio della campagna toscana predisposto per loro; questa famiglia ebraica con tre bambini, braccata, umiliata, affamata e spaventata, veniva costantemente rifornita non solo di cibo, ma di quelle premure che, in quelle circostanze, equivalevano a un vitale balsamo morale. Inoltre, il beneficio immenso di quel “banale eroismo”, protrattosi per mesi, dal novembre 1943 all’agosto 1944, non si è mai esaurito, poiché ha continuato ad agire anche nei decenni a venire. È stato proprio grazie alle gesta quotidiane di queste due donne “qualunque” che i ricordi dei miei cari su quell’epoca mostruosa, negli innumerevoli racconti che ho sentito fin da bambina, sono sempre stati illuminati da un quasi assoluto “dominio del Bene”. E quando (spesso) mi capitava di obiettare e di pretendere, nelle discussioni familiari, che si smascherassero il collaborazionismo, la viltà, la slealtà, la meschinità di tanti altri italiani, era come se incontrassi una specie di “sordità”, un “muro”. I nonni, e ancora oggi mio papà e le mie zie, hanno sempre e solo ripetuto ostinatamente: “dobbiamo la vita a persone buone”. Quanto mi arrabbiavo, da ragazza, a vedere quella reazione, pensando alle famiglie che invece erano state tradite o abbandonate, emarginate o condannate a morte da denunce e spiate! Ci ho messo anni a capire (e con fatica) che chi ha vissuto un’esperienza così intensa del Bene finisce col consentire che quel Bene “dei pochi” si espanda fino a sovrastare del tutto il ricordo del male “dei tanti”. E ora che, invecchiando, sono un po’ più capace di “ascoltare”, ho intuito che proprio in questo deve celarsi il senso del suggestivo detto ebraico “chi salva una vita, salva il mondo intero”. Elena e Vittoria non solo hanno salvato la famiglia di mio padre, ma hanno lasciato in eredità a noi figli e nipoti quello che si è rivelato un autonomo, fenomenale riferimento etico: la gratitudine.
Laura Salmon, slavista
(6 dicembre 2013)