Ticketless – Psicanalisi e rabbini

cavaglionQuando si scrive di storia può capitare di avere a disposizione una mole ingente di documenti, tale da perdersi in essa e magari non accorgersi che uno di questi documenti, nascosto, vale più di cento altri. E’ quanto capita a Rita Corsa, che ha appena pubblicato una bella monografia sulle origini della psicoanalisi italiana (“Edoardo Weiss a Trieste con Freud”, Alpes Italia srl). La compianta Anna Maria Accerboni aveva già individuato l’impressionante quantità di cartelle cliniche vergate a mano dal dottor Weiss negli anni che immediatamente seguono la fine della Grande Guerra. La Corsa continua su questa strada e ricostruisce con grande bravura gli anni che precedono l’esilio di Weiss a Roma. Quando lavorava all’Ospedale psichiatrico provinciale di Trieste, Weiss ebbe fra i suoi pazienti il pittore Arturo Nathan, il cognato di Svevo (Bruno Veneziani), ma anche un volgo disperso e senza nome di superstiti ebrei della Grande Guerra: personaggi di cui dovremo ritornare a parlare nell’anno che sta per aprirsi, il 2014, centenario della prima guerra mondiale.
casa263Alle pagine 55 e sgg. si riproduce in anastatica la cartella di un giovane ebreo ungherese ricoverato nel frenocomio triestino nel 1927, più o meno quando Svevo scrive la famosa frase sulla psicoanalisi inutile come cura, ma risorsa favolosa per i romanzieri. Particolare cura Weiss riservava alle sue ricostruzioni anamnestiche: si leggono come se fossero racconti della Mitteleuropa. In effetti ci vorrebbe un grande narratore per riprendere la vicenda di questo giovane ebreo nato vicino a Budapest nel 1891. Richiamato sotto le armi in un reggimento di Ussari fu gravemente ferito in Serbia. All’ospedale militare “gli vengono praticate frequentemente iniezioni di morfina, di modo che egli divenne morfinista”. Nel 1917 ebbe una relazione con una primadonna del teatro, da cui ebbe un bambino: “A insaputa dei genitori sposò la sua amante nel 1920”. Weiss dice che i genitori per questo matrimonio “molto si accorarono e non volevano più saperne di lui”. Disperato per “l’irriducibilità dei genitori [il giovane] tentò di suicidarsi”. Gli vennero praticate iniezioni di caffeina “di modo che poté essere salvato”. Un guizzo di Weiss merita di essere riprodotto: “Coll’intervento del Rabbino il giovane si riconciliò con i genitori”. Che io sappia solo a Trieste, il Rabbino e lo Psicoanalista pensavano di poter lavorare così bene insieme.

Alberto Cavaglion

(1 gennaio 2014)