Sperimentazione animale e Legge ebraica

rav gdsIn questi giorni è tornata alla ribalta mediatica la discussione sulla sperimentazione animale, originata da un video trasmesso da una giovane affetta da una grave malattia genetica e curata grazie a farmaci saggiati su animali. La ragazza è stata oggetto di insulti vergognosi e allucinanti da parte degli animalisti, un fatto che, nonostante le scuse manifestate da alcuni loro rappresentanti, la dice lunga sull’emotività e la mancanza di raziocinio con cui il problema è affrontato.
Cosa dice l’ebraismo sulla sperimentazione animale? Come in tutti i casi concernenti la salute e la medicina, la Halakhà (legge ebraica) si appoggia sui pareri degli esperti (medici, ricercatori), i quali pressoché all’unanimità sostengono che il progresso medico e le conoscenze scientifiche non possono prescindere dalla sperimentazione su animali (e, successivamente, su esseri umani). Ma – e qui interviene la Halakhà come anche l’etica generale – la sperimentazione deve essere regolamentata. Anche quella sugli animali può essere intrapresa solo se non ci sono altri mezzi per ottenere le stesse informazioni (ad esempio, utilizzando microrganismi o colture cellulari). Inoltre, si deve fare il possibile per prevenire inutili sofferenze all’animale o far di tutto per alleviarle. Il divieto di procurare dolore agli animali (tzà‘ar ba‘alè chayìm) è una delle esplicite proibizioni della legge ebraica e numerosi riferimenti a questa norma si trovano sia nella Bibbia che nel Talmud.
Ormai in molte università e centri di ricerca del mondo (inclusa l’Università Ebraica di Gerusalemme), chi effettua sperimentazioni sugli animali deve prima frequentare degli appositi corsi di etica. Una volta non era così. Quando io ero giovane studente di biologia non c’era questa sensibilità e nei laboratori si usavano gli animali senza particolari preoccupazioni. Le cose sono cambiate anche grazie ai movimenti animalisti. Non a caso, quando nei laboratori di ricerca si è costretti a provocare la morte di un animale, non si usa dire “uccidere” ma “sacrificare”, sia in italiano che in inglese ed ebraico e immagino nelle altre lingue, a riprova del carattere sacro della vita di ogni essere animale. Ma come in tutte le questioni, bisogna avere un atteggiamento critico e raziocinante. Impedire la sperimentazione sugli animali quando questa è essenziale per l’avanzamento della conoscenza e per testare terapie farmacologiche è assurdo. Si rischierebbe di diventare come “coloro che sacrificano gli uomini e baciano le vacche”, per usare le parole del profeta Osea (13:12). Questa frase fu usata negli anni ’30 del secolo scorso dai rabbini europei per descrivere le leggi naziste a favore degli animali.

La Rassegna Mensile d’Israel ha dedicato al problema degli animali un articolo di Rachel Nahmany Segal, “Gli animali nell’ebraismo rabbinico”, vol. LXX, n. 3 (2004), pp. 55-76 e, più recentemente, un intero volume, “Gli animali e la sofferenza. La questione della shechità e i diritti dei viventi”, a cura di Laura Quercioli Mincer e Tobia Zevi, vol. LXXVIII, n. 1-2 (2012), con contributi, oltre che dei curatori, anche di Hans Jonas (tradotto da Emidio Spinelli), Luisella Battaglia, Mino Chamla, Paolo De Benedetti, Riccardo Di Segni e vari altri autori.
Per un approfondimento, si rimanda al fondamentale studio di P. Lerner e A.M. Rabello, Il divieto di macellazione rituale (shechità kosher e halal) e la libertà religiosa delle minoranze, Università degli Studi di Trento, 2010, in particolare il cap. V. intitolato “L’attenzione alla sofferenza degli animali”.

rav Gianfranco Di Segni, Istituto di Biologia Cellulare e Neurobiologia del CNR – Collegio Rabbinico Italiano

(2 gennaio 2014)