confini…

Il ritorno della Scola Tempio nei sacri confini di Yerushalaim ha emozionato alcuni degli italkim della capitale di Israele così come qualcuno tra gli italiani sulle sponde del Tevere.
Con gioia, occhi commossi e preghiere verso il Cielo, la fondazione di questo minian ha riportato sulle labbra di molti il versetto di Geremia 31, 16: “וְשָׁבוּ בָנִים, לִגְבוּלָם”. E torneranno i figli nei loro confini. Ritorno, confini, minhag ed italianità. Solo analizzando questi quattro concetti potremo capire e, nel caso, riflettere e lodare il senso del ritorno di questo minhag dei figli di Roma in Israele. In un momento storico che vede la Hevra Italiana muoversi verso uno sviluppo comunitario che ha come orizzonte la creazione di spazi più ampi per l’intera cultura ebraica e non ebraica di Israele, il confine del minhag di Scola Tempio diventa una occasione di pensiero e di quesiti. Siamo di fronte ad una giusta rivendicazione localista? Siamo di fronte a una presa di posizione che rende il particolare minhag, uso, e la specifica tradizione romana una nuova concezione identitaria in Gerusalemme? Siamo di fronte ad una semplice voglia di conservazione di un uso che, però, non può avere spazi condivisi con gli altri usi e le altre tradizioni italiane contenute in rechov Hillel? I nuovi e vecchi olim della nuova ed antica Scola Tempio esprimono il paradosso un sionismo che pur scegliendo la strada della costruzione collettiva della nazione ebraica, preservano con tenacia le istanze di una origine particolare, il tutto entro i nuovi confini di un luogo che storicamente non è più la sede degli italkim di rechov Hillel. Un nuovo confine che allo stesso tempo è particolare e no global, così come è allo stesso tempo globalizzato e israeliano visto che si nutre dei legami, tutti moderni e non antichi, con la Municipilità di Yerushalaim e di una scuola pubblica dello Stato di Israele, dove al momento Scola Tempio ha trovato casa. Un confine che esprime la propria indipendenza dall’italianità di rechov Hillel, ma rivendica la propria antica italianità ebraica, un confine che è identità particolare e assoluta allo stesso tempo. Abraham B. Yeoshua, in un saggio chiamato Il Labirinto dell’Identità, definirebbe il tentativo di esistenza di un confine come questo, una “ glocalizzazione”, un processo unico che, se giusto, garantirebbe un equilibrio tra elementi globali, in questo caso l’alyà, l’identità collettiva di ogni israeliano e la lingua ebraica, ed elementi locali, uno specifico minhag, una determinata origine e un preciso background storico e culturale. E’ poggiandoci su questo equilibrio e condivisione di spazi privati, spazi comuni, origini dai confini più ampi e origini localistiche che possiamo accettare la sfida di una israelianità glocalizzata che porti i “figli a tornare nei propri confini”. A tornare a vivere nei propri confini, senza per questo vivere solo e soltanto per essi.

Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino

(3 gennaio 2014)