La lunga strada verso il rinnovamento
La richiesta di un posto accanto all’uscita di emergenza l’aveva rivolta personalmente quella mattina del 26 febbraio 2013 al check-in dell’aeroporto di Buenos Aires, quando si era imbarcato per volare a Roma per il conclave, come sempre in classe economica. Aveva lasciato dentro la borsa nera – divenuta poi icona mondiale di un nuovo stile di governo – il biglietto di ritorno aperto, che non è mai stato usato. Volare su una poltrona scomoda, specie per un uomo non più giovane e per di più con dei problemi all’anca, per il cardinale Jorge Bergoglio non è stata mai una mossa propagandistica, né tantomeno un atteggiamento pedagogico. E non lo è stato neppure da Papa, quando in un attimo ha cambiato un consolidato e rassicurante stile pontificio. Il segreto del carisma dei grandi uomini spesso è racchiuso anche nei piccoli gesti. In dieci mesi papa Francesco è diventato una figura mondiale di riferimento, per il miliardo e più di cattolici, ma anche (e soprattutto) per i non credenti, e un’autorità morale per una fetta consistente di fedeli delle altre religioni. In Italia gli effetti sono stati evidenti, tanto più che l’elezione è stata preceduta da un fenomeno generato dalla rinuncia di Benedetto XVI: in un attimo, quell’11 febbraio di un anno fa, è stata azzerata “l’agenda politica” della Chiesa in vista delle imminenti elezioni politiche, dove per la prima volta dopo molti anni non si è sentito imporre temi che poco o nulla hanno che fare che l’azione di un futuro governo. “La società italiana è attraversata da un bisogno di cambiamento, un fiume carsico che cerca di affiorare e scorge in papa Francesco un’icona calda e densa” spiega il sondaggio SWG che Pagine Ebraiche mette in evidenza. La ricerca mette in rilievo l’importanza profonda e strutturale di un pontefice che, pur arrivando “dalla fine del mondo”, sta incidendo sulla società locale molto più di gran parte dei pontefici italiani. Chi ha votato per Bergoglio dentro la cappella Sistina – una quota accreditata come molto alta, attorno ai 100 voti su 115 votanti, è stato sussurrato – conosceva bene il potenziale del gesuita argentino, forse l’unica scelta in grado di riportare pace dentro la Curia romana e visibilità al ruolo pastorale del ministero petrino, che era stato percepito come smarrito nel corso dell’ultimo anno di pontificato di Ratzinger, percorso da problemi gravi e crisi ricorrenti generate non tanto dal papa teologo ma dalla mancanza di una catena di comando scevra da condizionamenti. Il messaggio di Francesco ha seguito fin qui due binari, paralleli ma molto vicini: una pastorale immersa nelle periferie esistenziali – quindi comprensibile, di facile e immediata fruizione, a partire dalle immagini – e un segnale di forte discontinuità con le faccende di potere. Le interviste, gli interventi e la presenza nelle piazze, le omelie a Santa Marta, l’immersione tra i giovani, hanno rappresentato una decisa riscrittura dell’agenda delle priorità, riportando in cima parole come “perdono” e “misericordia” che pur non essendo mai state cancellate erano state fatte scivolare un po’ ai margini, e indicando ai vescovi di non essere ossessionati dal temi di vita e famiglia, fino ad allora monopolisti del dibattito. Il dialogo con i non credenti – una delle sfide su cui c’è maggiore fiducia – la voglia palpabile di costruzione di una chiesa realmente vicina ai poveri, la necessità dell’inclusione (“chi sono io per giudicare?”) ha stupito il mondo, esaltato gli emarginati, aperto le braccia ai migranti, ma sconvolto gli autonominati difensori autentici dell’altare, pochi ma ben organizzati. Ecco uno dei segreti del successo di Bergoglio: aver aperto brecce insospettabili nel mondo laico e ateo, dove la popolarità del papato è salita vertiginosamente, rovesciando spesso i termini dei fattori. Anche Ratzinger parlava ai non credenti, dandogli appuntamento sul crinale tra fede e ragione: un percorso straordinario nella sua potenza teologica e filosofica, ma di difficile attuazione, incomprensibile ai più. Il papa argentino, cresciuto nell’abbraccio della devozione popolare latino- americana, invece, va loro incontro giù per la scarpata, ma non solo. Entra nelle case, poi abbraccia i malati in piazza di Spagna invece di stringere le mani a politici, banchieri e principesse, si annoia agli inni nazionali, ma si abbassa a baciare chi di speranza ormai ne ha davvero poca. Ecco allora perché è proprio la “speranza” l’emozione che prova la maggioranza (49%) degli interpellati dal sondaggio SWG, tanto più in una fase storica di crisi profonda di cui è difficile scorgere la fine. Ma certo anche serenità, gioia, forza, stupore… Un risveglio di sana trascendenza, probabilmente, visto che il 57% si dichiara vicino alla religione cristiana cattolica, in un contesto che vede in Italia i praticanti “veri” in una percentuale che fino a poco tempo fa era forse stimabile in una percentuale a una cifra, e che si salda con quel 76% che è la quota rilevata di persone che “oggi hanno bisogno di qualcosa in cui credere”. Ecco allora la curiosità, la voglia di capire, una vera sete di sapere, che ha contagiato molti di quelli che fino al marzo scorso diffidavano di tutto quello che era Chiesa. Ma c’è di più. Nella società globalizzata dove il viso della persona conta più dell’istituzione, il popolo – credenti “aperti” al nuovo e non credenti – scommette molto più sul papa che sulle gerarchie, di cui si teme una “grande muraglia” di resistenza al cambiamento. La società italiana, per la sua storia e la sua composizione del tutto unica rispetto alla Chiesa, di certo si interroga su Bergoglio più di quanto non avviene in molte altre parti del mondo: le parole del papa, dice il sondaggio cogliendo un aspetto in ombra, “trovano argine in una comunità italica attraversata da paure e resistenze corporativistiche, aggrovigliata su sé stessa e percorsa dall’ossessione respingente verso l’immigrazione”. Atteggiamenti che vanno forse ricercati soprattutto dentro la struttura dell’episcopato italiano, chiamato dal “Papa S.J.” a una sfida di rinnovamento forse più complessa che nella gran parte degli altri paesi.
Carlo Marroni, giornalista e scrittore
Pagine Ebraiche, gennaio 2014
(5 gennaio 2014)