misericordia…

La misericordia di Dio, associata alla Sua giustizia, è nella prospettiva ebraica uno dei motori della realtà. E’ da questa integrazione che nasce la possibilità e la necessità della teshuvà, il pentimento, per ottenere il perdono; ferma restando naturalmente la libertà di Dio – che più volte Egli ribadisce – di perdonare anche chi non si pente. Il Faraone, di cui si parla nelle parashot di queste settimane, ne è in parte un esempio: sebbene indurito nel cuore da sé e dall’intervento divino, mantiene la libertà di pentirsi; cosa che fa, secondo il midrash, sul mar Rosso ottenendo la salvezza. E il Napoleone di cui parla oggi Eugenio Scalfari, è, nella prospettiva della ode manzoniana da lui citata, un uomo che si è pentito e per questo è perdonato. Sebbene non ci siano testimonianze di questa conversione in extremis, è su una voce di questo genere, che girò immediatamente dopo la morte di Napoleone, che Manzoni scrisse di getto l’ode “Il 5 Maggio”. “Il Dio che affanna e che consola” lo fa secondo i criteri insondabili della Sua volontà. Ma noi non siamo Dio, siamo uomini; e non possiamo pretendere a priori la gratuità del perdono.

Benedetto Carucci Viterbi, rabbino

(5 gennaio 2014)