Il ritorno del Moretto

moretto 1Per molti ebrei romani Pacifico Di Consiglio, detto Moretto, rappresenta un eroe e un simbolo intramontabile. È il combattente indomito che ha affrontato a mani nude decine di nazisti e fascisti, ma anche l’infaticabile organizzatore di iniziative per la sicurezza della Comunità che ha saputo essere collante tra le diverse anime comunitarie veicolando, a partire dall’immediato dopoguerra, le migliori energie della cosiddetta “piazza” e degli ambienti più “borghesi”. Una storia che ha dell’incredibile, soprattutto nei mesi della persecuzione più accesa: pugni, arresti e fughe che si susseguono ciclicamente in una Roma dove delazione e sopraffazione sono di casa. A raccogliere questa vicenda è un libro, curato dal figlio Alberto e dal giornalista Maurizio Molinari, tornato prepotentemente d’attualità proprio in queste settimane. Dato alle stampe nel 2008, “Il ribelle del Ghetto” raccoglie infatti un rinnovamento fermento grazie a due avvenimenti: la pubblicazione, nel settantesimo anniversario della razzia del 16 ottobre, di un articolo sul Moretto che appare con grande evidenza sullle colonne della Stampa a firma dello stesso Molinari. E la successiva trasmissione televisiva, dedicata al pugile trasteverino, andata in onda in diretta nel nuovo contenitore di Raisport “Pomeriggio da campioni”. Un’attenzione mediatica che ha permesso di presentare al grande pubblico, per la prima volta in modo così incisivo, una vicenda che non può essere appannaggio esclusivo della Roma ebraica ma patrimonio di chiunque si riconosca nei valori della libertà e dell’antifascismo. Con effetti e benefici che non hanno tardato a farsi sentire. A darne conferma è Alberto Di Consiglio (foto in alto), ospite del salotto di Raisport, che ai lettori di Italia Ebraica spiega come attorno alla vicenda del padre si stia muovendo, in questi giorni, il mondo della fiction e del cinema che conta. Una serie di proposte prestigiose segno di un’emozionalità che ha fatto centro. “Nella storia di papà – racconta Alberto – si possono riscontrare caratteristiche non convenzionali per raccontare un periodo storico oscuro attraverso nuove angolature e prospettive. L’idea di un ebreo a testa alta, sfrontato, senza paura e implacabilmente a caccia di nemici nella Roma sotto occupazione tedesca, ha colpito davvero nel segno”. Fioccano così gli incontri e cresce la speranza di veder presto riprodotta la vita del Moretto sul piccolo e sul grande schermo. Una sequenza di “follie”, così le chiama il figlio, che sono racchiuse nello spirito battagliero di chi mai chinò la testa davanti al nemico sfidandone anzi i tanti volti in una continua lotta per la sopravvivenza e la salvaguardia della dignità umana. Sfogliando “Il ribelle del ghetto” gli episodi che emergono, nelle parole del Moretto e nelle testimonianze di tanti amici, danno il senso di un interminabile prova di resistenza che si appoggia principalmente su due basi: coraggio e incoscienza oltre ogni limite, capacità pugilistica affinata fin dalla prima gioventù. Farà leva su questi due elementi per muoversi, come se niente fosse, nella Roma nazista in cui gli ebrei erano l’obiettivo più ambito. Agirà ripetutamente, sarà catturato, si libererà ogni volta nei modi più rocamboleschi. Avventure in parte note, in parte riscoperte soltanto negli ultimi anni, dopo la sua scomparsa, in una vecchia valigia che giaceva semiabbandonata sotto un armadio. All’interno della valigia documentazione inedita, foto mai viste che, spiega Alberto, “mi hanno molto impressionato”. Dagli archivi arrivano anche le due foto che pubblichiamo in pagina: in quella grande si vede un giovane Moretto, a torso nudo, intento ad allenarsi sulle nevi del Terminillo. La foto piccola lo ritrae invece in posa con guantoni e armamentario da boxe. Siamo in piena legislazione antiebraica. Lo sguardo è quello di sempre: fiero, determinato, arrabbiato. Uno sguardo di sfida alle ingiustizie del mondo. Uno sguardo da fiction.

Adam Smulevich, da Pagine Ebraiche dicembre 2013

(7 gennaio 2014)