Qui Roma – La sinagoga di Trastevere

SONY DSCTanti luoghi, tanti incontri, tanti racconti tra grande storia degli ebrei di Roma e memorie personali. È il viaggio che i lettori di Italia Ebraica potranno compiere assieme al rav Vittorio Della Rocca, per molti semplicemente il Morè, che della Comunità è tra i personaggi più noti e amati. Il primo appuntamento è in Vicolo dell’Atleta a Trastevere dove una suggestiva casa medioevale conserva i resti della sinagoga fondata dal lessicografo Nathan ben Jechiel (1035‐ 1106). Fu in quest’area che si raccolse e venne organizzata la prima forma di aggregazione comunitaria. Un luogo altamente strategico, vicino al Tevere e quindi vicino ai commerci. Ma anche un luogo di grandi suggestioni. Il primo incontro con questo portone, per rav Della Rocca, avviene nell’immediato dopoguerra. È il 1945: in una Comunità devastata dalla Shoah una indimenticabile generazione di educatori si occupa di scuola e formazione: Cesare Tagliacozzo, Sergio Sierra, Settimio Di Castro, Mario Sed, Nello Pavoncello. È proprio quest’ultimo, in una delle sue celebri domeniche culturali, a portare il giovane Vittorio e i suoi compagni in Vicolo dell’Atleta. I ricordi, davanti alla vecchia sinagoga, fluiscono con grande intensità. E inevitabilmente, tra una spiegazione e l’altra, si afferma la figura del morè Pavoncello. “Ricordo molto bene quella giornata, così ricca di significati – spiega Della Rocca – e soprattutto la consuetudine del morè di portare i suoi allievi alla scoperta dei luoghi più significativi della Roma ebraica. Aveva una straordinaria capacità oratoria, sapeva trasmettere amore per la cultura, condivideva con noi tutti le informazioni e le notizie ‘che rimangono’. Di questo gli sarò per sempre grato”. Impetuoso, schietto, ‘romano de Roma’: il morè, sottolinea il rav, è stato un personaggio con una forza e un carattere tutto particolare “che ad alcuni, mi rendo benissimo conto, poteva non piacere”. A livello personale, comunque, “una delle più grandi amicizie delle mia vita”. Vastissima l’anedottistica in materia. E legata in particolare a ‘Piazza’, l’anima e il cuore pulsante dell’ebraismo romano. È un pomeriggio d’estate quando il morè Pavoncello tiene la sua consueta lezione pubblica davanti a Boccione. Attorno a lui un’infinità di gente. Dal fondo si leva una voce. È quella del suo ex allievo Vittorio, che commenta: “Ecco il mio morè dell’alefbet (l’alfabeto, ndr)”. Diventa una consuetudine: lezione pubblica e, puntuale, commento dal fondo. Finché un giorno il morè gli si rivolge con queste parole: “Senti, bello mio, usami una cortesia. Tutti i giorni mi dici questa frase come se io ti avessi insegnato soltanto l’alfabeto. Adesso farai una piccola correzione: invece di dire ‘dell’alefbet’, dirai ‘dall’alefbet’. Ti sta bene?”. Un aneddoto tra i tanti ma che racconta meglio di altri il temperamento del morè Pavoncello. Un personaggio, conclude Della Rocca, “a cui tutti noi siamo riconoscenti per la prolifica attività pubblicistica che ci ha lasciato”.

Adam Smulevich, da Italia Ebraica gennaio 2014

(8 gennaio 2014)