Voci a confronto
Il caso Dieudonné, comico francese che ha fatto della retorica antisemita e negazionista un suo marchio di fabbrica, continua ad avere eco in tutta Europa. Per ostacolare l’inventore della “quenelle” (un saluto nazista alla rovescia) e i suoi spettacoli, messe in scena non solo di cattivo gusto ma dietro cui si cela di fatto una vera istigazione all’odio razziale, è intervenuto in prima persona il presidente francese Francois Holland, chiedendo a prefetti e sindaci di Francia di proibire a Diudonné di esibirsi in pubblico (La Stampa, Corriere della Sera). Una decisione che per Pierluigi Battista, editorialista del Corriere, sarebbe però controproducente: “è giusto invocare la mannaia della censura sugli spettacoli di un odiatore degli ebrei? Ed è utile, oppure è addirittura dannoso e controproducente? Purtroppo la risposta è no: non è giusto, ed è forse disastrosamente inutile”. Secondo Battista né la censura né le leggi che istituiscono il reato di negazionismo sono la soluzione al preoccupante quanto crescente antisemitismo europeo, di cui Dieudonné è un esempio. Servirebbe invece “una guerra culturale intransigente” perché, scrive ancora il giornalista, “la censura, un rimedio che aggrava il male e lo rende persino fascinoso. Un’altra sconfitta per le democrazie liberali”. Una tesi, come riporta il Foglio, espressa negli scorsi giorni da Marco Travaglio.
Continua, dunque, il dibattito sull’opportunità di intervenire preventivamente su chi propugna la violenza della retorica antisemita e negazionista. E per bloccare la possibilità che all’Università Statale di Milano si tenga un convegno organizzato da un’associazione di ispirazione neonazista, si sono mobilitati diversi gruppi studenteschi. L’università, in ogni caso, ha sottolineato che al momento l’aula è stata prenotata ma non è stato presentato un programma, necessario per ottenere l’ok definitivo (Corriere).
Dopo l’annuncio ufficiale, fatto da papa Francesco durante l’angelus di domenica scorsa (pubblicato oggi sull’Osservatore Romano), riguardo al suo viaggio in Israele, l’attenzione si è concentrata in questi giorni sul significato che potrà avere la presenza del pontefice in Medio Oriente. Difficile, come immaginano alcuni, che il papa entri nella delicata questione del conflitto israelo-palestinese. Il senso del viaggio, piuttosto, sembra essere quello indicato dall’articolo di Alberto Melloni sul Corriere, “il viaggio di Francesco a Gerusalemme per l’unità delle Chiese cristiane”.
Rimanendo in tema di Israele ma attraverso un’altra prospettiva, sul quotidiano Avvenire compare un’intervista alla docente di Filosofia teoretica della Sapienza Donatella Di Cesare. L’occasione è l’uscita del suo nuovo libro, Israele. Temi, ritorno, anarchia (Bollati Boringhieri). “Israele – spiega la filosofa – è diventato il surrogato dell’ebreo nella retorica antisemita. Si parla dello Stato di Israele? Oppure del nome con cui viene chiamato tutto il popolo ebraico? Io ho cercato di aggirare l’alternativa riflettendo sul futuro dell’Israele attuale alla luce dell’antico Israele e dunque della Torah”.
Israele, intanto, guardando al futuro dei suoi confini, osserva con attenzione quanto accade nella tumultuosa e vicina Siria. Dal porto di Latakia sarebbe partita ieri, direzione Italia, una nave con un carico particolare: nove contenitori con una parte degli agenti tossici più pericolosi dell’arsenale siriano che potrebbero arrivare, via mare, in Puglia o Sardegna (le autorità locali si sono opposte) per poi essere smaltiti. Il regime di Assad vuole dimostrare, mentre nel paese continua a salire il bilancio delle vittime, la sua apertura alla diplomazia internazionale, distruggendo una parte del suo arsenale chimico (La Stampa, Corriere della Sera).
Nel mondo sportivo due notizie hanno aperto discussioni e polemiche. Da una parte la scelta della federazione israeliana di permettere ai giocatori di calcio del campionato locale di indossare la kippah in campo, contravvenendo a una regola imposta dalla Fifa che ne vieta l’utilizzo. Della polemica e dei precedenti in merito riferisce oggi Avvenire. L’altra notizia è invece la decisione della squadra olandese Vitesse Arnhem di lasciare a casa il giocatore israeliano Dan Mori e non farlo partecipare a un’amichevole ad Abu Dhabi. Una scelta dettata dal veto degli Emirati di far giocare Mori sui propri campi. “Il no a Mori non c’entra assolutamente con lo spirito sportivo – ha commentato su Libero il consigliere UCEI Vittorio Pavoncello -In tutto il mondo ci sono arabi che si rifiutano di gareggiare contro gli israeliani per poi venire accolti in patria come eroi. Ma lo sport dovrebbe abbattere le barriere, non innalzarne di nuove.
Daniel Reichel
(8 gennaio 2014)