Tea for two – Oriana et moi
Il mio primo incontro con Oriana Fallaci (incontro virtuale, metafisico e cartaceo si intende) avvenne nel 2001. Avevo 11 anni, credevo che le Torri Gemelle fossero degli anonimi palazzi (ignoranza cavalcante) e mi accorsi che una signora famosa si infuriò: le parole rabbia e orgoglio risuonarono per settimane e settimane. Dopo poco, ci pensò Jovanotti a gridare la rima che sarebbe diventata l’epiteto fisso a lei dedicato negli ultimi anni: “la giornalista scrittrice che ama la guerra perché le ricorda quando era giovane e bella”. Potete immaginare quanta inquietudine destava in me quell’affascinante giornalista avvolta dal fumo di sigaretta che lanciava anatemi e si beccava indietro insulti e sguardi minacciosi. Poi Oriana Fallaci morì. Io quasi non me ne accorsi, provai solo quella amarezza di fondo che mi colpisce quando mi rendo conto che la possibilità di incontro si annulla. Gironzolando per la Feltrinelli di Largo Argentina (che il mondo la abbia in gloria) sbattevo il naso spessissimo contro la monumentale trafila di libri della Fallaci ristampati da Bur con colori pastello invitanti; dei libri macarons. In testa risuonava però ancora il Jovanotti del periodo “sono un personaggio scomodo che fa musica impegnata”, allora prendevo il largo. Vanity fair, fu galeotto: qualche mese fa l’intervista (pensare che avevo appena scritto ‘intervita’, che lapsus!) di un ex amore di Oriana mi mise davanti la decisione ferrea: avrei letto un libro della Fallaci. Ecco allora che faccio gli occhi dolci a mio padre e mi faccio regalare “Gli antipatici”. Perché, come insegna il padre di cui sopra, da Armani bisogna comprare i tailleur, non le piastrelle per il bagno o le composizioni floreali, ergo, continuo io, per iniziare a leggere Oriana Fallaci bisogna partire dalle interviste. “Gli antipatici”, sono appunto le interviste del ’63 ai personaggi più chiacchierati dell’anno, antipatici perché continuamente al centro dell’attenzione. Probabilmente la versione aggiornata al 2013 avrebbe avuto un faccia a faccia con Belén e con Matteo Renzi. Che dire? Mi è venuto da piangere di fronte a tanta maestria. E ho come la certezza che la giornalista scrittrice con un po’ più di tempo, con un po’ più d’amore, avrebbe dimostrato di non amare la guerra.
Rachel Silvera, studentessa/stagista
(13 gennaio 2014)