…identità
In Italia si sta diffondendo l’ebraismo ‘progressivo’: è arrivata la riforma. Per chi, seguendo una tradizione comunitaria, ha vissuto una vita nell’alveo dell’ebraismo ortodosso, anche praticandolo in maniera assai personalizzata, è un piccolo trauma identitario. Era più facile riconoscere in sé un difetto di coerenza fra la prassi individuale e la regola comunitaria piuttosto che dover indossare un abito altrui sentendosi vagamente opportunisti. Ma è questione di gusti e di prospettive. Chi non riesce a convivere con le proprie contraddizioni credo faccia bene a cercare di risolverle in qualsiasi modo, pur di vivere conciliati con se stessi. Certo si pensa con rammarico a quanto il rabbinato italiano avrebbe potuto fare, e non ha fatto, per salvaguardare una tradizione italiana senza cedere al ricatto delle influenze esterne da parte dell’integralismo ortodosso. La tradizione ebraica italiana, di cui un tempo non ci si vergognava troppo, è sepolta, e la responsabilità è da ricercarsi, da un lato, nell’assimilazione, dall’altro, in un irrigidimento rabbinico che non sempre ha significato serietà e a cui non sempre sono corrisposti la dedizione e l’impegno necessari. Del resto, è più facile chiudersi nell’isolamento dello tzaddik che sporcarsi le mani con la problematicità del presente. Ora che la frattura è avvenuta, creare mostri non serve a nulla. Si può solo auspicare che il rabbinato ortodosso si fermi a riflettere con coscienza, affronti il problema reale in tutta la sua gravità e tolga la pietra al collo all’ebraismo italiano. Ripensando anche, non da ultimo, ai decennali gracilissimi risultati della formazione rabbinica in Italia.
Dario Calimani, anglista
(14 gennaio 2014)