Convergenze
In questa settimana avrei voluto parlare di tante cose: di memoria, di anniversari (esattamente settant’anni fa mio padre bambino entrava con la sua famiglia in Svizzera), di scuola, di Sharon. Invece non posso fare a meno di ritornare su quello che è successo a Roma martedì scorso, perché, anche a centinaia di chilometri di distanza, sento che la cosa in parte mi riguarda. Se in locali appartenenti a una Comunità ebraica viene impedito il regolare svolgimento di un’attività prevista e annunciata – che sia la presentazione di un libro, una partita a calcio, una lezione, una festa o qualunque altra cosa – è una sconfitta per tutti: per chi l’ha organizzata, per il Consiglio che l’ha autorizzata, per gli ebrei che hanno votato quel Consiglio la cui decisione è stata calpestata, per l’intero ebraismo italiano, se le decisioni prese dai nostri organi istituzionali possono essere rovesciate con la forza da chiunque si senta investito del diritto ad agire di testa propria in nome di supposti valori superiori. Una volta che l’attività è stata autorizzata, nessuna considerazione (sui contenuti, sugli oratori previsti, ecc.) può legittimare la scelta di impedirne lo svolgimento.
Non ero presente martedì a Roma ma ero presente a un’altra serata organizzata sempre da JCall poco più di un anno fa a Milano; anche in quella circostanza JCall è stata oggetto di pesanti attacchi dal pubblico, che, pur non ostacolando gli interventi degli oratori, avevano comunque impedito un sereno dibattito. In quel caso gli attacchi erano carichi di odio verso Israele e gli oratori di JCall erano criticati in quanto sionisti, perché difendevano il diritto all’esistenza di uno Stato ebraico, ma forse i toni astiosi non erano poi tanto diversi. Una convergenza curiosa, su cui forse varrebbe la pena di riflettere.
Anna Segre, insegnante
(17 gennaio 2014)