Marsiglia

Francesco Moisés BassanoLo devo senza dubbio ai romanzi noir dello scrittore italo-francese Jean-Claude Izzo (1945-2000), se da adolescente mi innamorai di Marsiglia. La città che pare Hitler volesse radere al suolo, perché, secondo le sue idee aberranti, eccessivamente cosmopolita e multietnica, e dunque ormai “compromessa” nell’edificazione del futuro mondo ariano.
Fu grazie a Izzo che captai, ancora prima di recarmici, l’anima di questo vivace porto affacciato sul Mediterraneo, crocevia tra Nord e Sud, dove sentirsi o essere marselhés significa da sempre provenire da oltre i confini della Provenza, come dimostrano le origini della sua popolazione, in prevalenza magrebini, ma pure sub-sahariani, italiani, caraibici, armeni, indocinesi, turchi, ebrei (è la terza comunità in Europa per grandezza), spagnoli, pieds-noirs… Dai suoi colori, conobbi però anche gli aspetti problematici e le contraddizioni, come le inegualità, la corruzione, il forte ruolo rivestito dalla criminalità organizzata nell’economia cittadina. E soprattutto l’attrazione e il consenso che molti giovani delle cités indirizzano verso l’estrema destra e il fanatismo islamico (specie per gli immigrati di seconda generazione), cadendo sempre più spesso vittime della demagogia e della speranza di salvezza dei loro leader, che tentano di reclutarli nelle loro file avvalendosi dell’emarginazione da ghetto, della lontananza delle istituzioni e del disagio che qui si respira.
Nel romanzo Chourmo per esempio, Izzo in chiave narrativa, avvisa dei legami e della sintonia che intercorre tra questi due estremismi, che come sempre si attraggono. Entrambi lottano contro l’integrazione dei figli degli immigrati, dagli uni percepita come una sottomissione al “demone” occidentale, dagli altri come una contaminazione, laddove più lo straniero resterà emarginato, più sarà facilmente identificabile come elemento avulso, e screditato come integralista agli occhi della società.
Ho citato Izzo, e ho alluso a Marsiglia, ma Marsiglia non è che il prisma su cui si riflette l’intera Francia contemporanea.
Oggi il comico Dieudonné sembra il perfetto punto d’incontro e collante tra estrema destra e fanatismo islamico. Si definisce “islamo-chrétien”, sottolinea più volte l’inferiorità della Shoah rispetto ad altri genocidi, mostra attrazione verso il regime siriano e iraniano, ricercando un dialogo e un’alleanza con ogni tipo di estremismo. Nella sua passata “Liste antisioniste”, e nella sua galassia infatti gravitano i personaggi più ambigui e foschi, tra cui appartenenti o allontanati del Front National (Alain Soral, Fernand de Rachinel, Marc George), catto-fascisti (Emmanuelle Grilli, Charles-Albans Schepens), negazionisti (Ginette Skandrani Robert Faurisson), suprematisti “noirs” (Kemi Saba), cospirazionisti (Thierry Meyssan, Christain Cotten), e “illuminati” vari (Yahia Gouasmi o il rabbino Schmiel Borreman dei Naturei Karta).
Tutti uniti nel nome di una dubbia jihad contro il sistema e l’imperialismo occidentale, alias il sionismo, assurto a simbolo e sinonimo dello stesso potere che opprime e instaura crisi e divari sociali. E gli ebrei, restando in questa fantascienza, non potrebbero altro essere che gli instauratori di questo ordine nascosto, o realisticamente il vecchio capro espiatorio, riconoscibile, su cui accumulare e canalizzare la rabbia delle nuove generazioni e delle banlieue (definiti “les territoires perdus de la République”).
Poco importa, se in verità, gran parte della popolazione ebraica francese condivide le stesse periferie metropolitane o gli stessi HLM (case popolari), escluse e lontane dalla Parigi chic o dalle Défense, o le stesse origini nordafricane dei molti immigrati arabi, come nella lingua, nelle specialità culinarie o nel ricordo ancora vivido delle qasab e delle bianche medine di Oran, di Fes o di Tunisi.
Ma l’antisemitismo in Francia non è soltanto di matrice islamica, si potrebbe anzi dire che, paradossalmente, la Francia abbia generato e conosciuto questa discriminazione sotto ogni forma e tendenza, da quello socialista-anarcoide di Proudhon, a quello tipicamente nazionalista di Charles Maurras e Edouard Drumont. Difatti, gli spettacoli e lo stile del franco-camerunese Dieudonné, affascinano sia il pubblico di destra, sia quello di sinistra, francesi come immigrati, vecchi e giovani, senza nessuna distinzione, ergendosi nella sacra difesa di una libertà d’espressione, che però finisce per minacciare la libertà di altri, rispolverando odi e rancori mai realmente inumati.
Spetterebbe ora alle menti più illuminate e alle istituzioni francesi comprendere e frenare il fenomeno, iniziando da un’auto-riflessione sul proprio passato, a partire da quello coloniale, e soprattutto riconsiderando il proprio modello di integrazione, che ha finito non per formare e includere i nuovi cittadini, ma per creare le condizioni adatte per i propri nemici. In caso contrario, i fanatici e i passeggeri Dieudonné saranno sempre più numerosi e idolatrati, o ne spunteranno di peggiori, e come nel 2005, le banlieue si incendieranno di nuovo. Travolgendo nel loro cieco ressentiment e nella distruzione, anche la presenza millenaria ebraica, che ha sempre espresso fiducia nel paese, contribuendo alla sua vitalità, e al suo sviluppo economico e culturale.
Così come ne risentirebbe, il mito, e la tradizione tollerante e libertaria giunta dalla rivoluzione del 1789, che la Francia ostenta agli occhi dei francesi e come esempio da secoli per le nazioni.

Francesco Moises Bassano, studente

(17 gennaio 2014)