Cinema – Anita che non dimentica
Parla di “diffidenza nel sistema distributivo italiano” il regista Roberto Faenza nei confronti del suo ultimo film Anita B, che il 27 gennaio aprirà le celebrazioni del Giorno della Memoria allo Yad Vashem di Gerusalemme. “Non capisco questo tipo di ostracismo, una forma di censura da parte degli esercenti che mi sembra solo un torto nei confronti del pubblico, a cui questi temi interessano e che vuole emozionarsi”. Nel dossier “Memoria viva” di Pagine Ebraiche di febbraio presto in distribuzione, Faenza racconta la pellicola e il suo incontro con la storia di Edith Bruck, dal cui libro “Quanta stella c’è nel cielo” è ispirato il film.
Dal consiglio letterario di un amico, alla costruzione di un film sul dopo Auschwitz. “Non credo avrei mai letto ‘Quanta stella c’è nel cielo’ se non mi fosse stato consigliato dall’amico Furio Colombo. Mi sembrava un titolo troppo ecumenico però mi sono fidato e sono rimasto sconvolto ed emozionato dal libro di Edith Bruck”, racconta a Pagine Ebraiche il regista Roberto Faenza. Da qui l’idea di realizzare un film che raccontasse la storia di una ragazza, uscita dal campo di concentramento viva, orfana dei genitori, che si deve scontrare con le contraddizioni del mondo dopo la Shoah. Ispirato al libro della Bruck, scrittrice ungherese sopravvissuta da bambina ai Lager nazisti, Anita B. (prodotto da Jean Vigo Italia in collaborazione con Cinemaundici e Rai Cinema) è il racconto delle difficoltà di una ragazza ungherese (interpretata da Eline Powell) che porta con sé il peso di un’esperienza tragica. Dopo la liberazione dal campo, Anita trova rifugio nei Sudeti, dalla famiglia della zia. Arriva con il desiderio di non dimenticare e di raccontare l’orrore del passato ma di fronte trova un muro di silenzio. “Poco più che una bambina, giunta nella sua nuova casa, non viene accolta con entusiasmo ma con una certa freddezza dalla zia, su cui aleggia il senso di colpa per essere sopravvissuta – spiega Faenza – E in un certo senso capisco questo desiderio di rimozione, quello che viene definito il diritto all’oblio perché, come diceva lo scrittore Jean Amery ‘Dio ha dato agli uomini la dimenticanza’”. Molti sopravvissuti nel dopoguerra mantennero il silenzio, tenendo per sé il dolore, trovandosi di fronte una realtà che voleva ricostruirsi, dimenticando. Il processo Eichmann strappò questo velo, aprendo la memoria privata a una dimensione pubblica, dimostrando come nessuna ricostruzione fosse possibile senza una riflessione sulla Shoah. Le voci dei testimoni acquistarono un ruolo centrale nell’analisi storica e nella creazione di una coscienza condivisa. Anita B. rappresenta coloro che vollero raccontare da subito la propria esperienza sulla Shoah. “Il film però non è sui campi di concentramento ma è su quanto è accaduto dopo. Vuole essere uno strumento per esercitare la Memoria raccontando un periodo storico poco conosciuto”, afferma Faenza che ha costruito il film rielaborando la sceneggiatura curata da Edith Bruck, Nelo Risi e Iola Masucci. Si dice però sconcertato Faenza dalla diffidenza che ha trovato nel sistema distributivo italiano con il film, che il 27 gennaio apre le celebrazioni del Giorno della Memoria allo Yad Vashem di Gerusalemme, proiettato in poche sale del Paese. “Non capisco questo tipo di ostracismo, una forma di censura da parte degli esercenti che mi sembra solo un torto nei confronti del pubblico, a cui questi temi interessano e che vuole emozionarsi”. Sul web, afferma poi il regista, si è aperta una protesta per la poca visibilità data al film. “Tra l’altro molte teenager sono fan di Robert Sheenan (che nel film interpreta il cognato di Anita) e hanno utilizzato i social network per chiedere la proiezione del film e poter vedere il loro idolo”. Secondo Faenza, tornando al tema della Memoria, è necessario in Italia mantenere alto l’impegno nella trasmissione del significato della Shoah, soprattutto nelle scuole. “Si sta in parte diffondendo una percezione negativa rispetto al 27 gennaio, forse per la ridondanza di eventi che ogni anno sono proposti. C’è il pericolo che le persone non prestino più attenzione al Giorno della Memoria e probabilmente bisognerebbe impegnarsi ogni anno per proporre alcune cose nuove”. Sono tante le tematiche che si intrecciano nel film di Faenza, a fianco della riflessione sul senso della Memoria, come la storia d’amore nata tra la protagonista e il cognato. Una vicenda che si evolve tra diverse difficoltà fino alla scoperta della gravidanza di Anita: l’adolescente si scontra con il compagno che vuole che lei abortisca. E in questo rapporto pieno di contraddizioni emerge sullo sfondo il sogno di una nuova vita in Israele, una realtà dove crescere il figlio e la propria speranza, lontano da quell’Europa, bagaglio di dolorosi ricordi. Ricostruirsi senza dimenticare, con la volontà di contrapporre all’oblio la memoria o la Giustizia, come afferma Faenza.
Daniel Reichel, Pagine Ebraiche, febbraio 2014
(20 gennaio 2014)