In cornice – Allegoria della pazienza
La Galleria Palatina di Firenze sembra fatta apposta per causare la sindrome di Stendhal: i capolavori uno accanto l’altro, uno appena sopra all’altro, in sale non troppo ampie ricoperte di broccato rosso, rischiano di tramortire i più sensibili e fanno venire la pelle d’oca a tutti. Per valorizzare ogni singola opera della Galleria, non resta che porla fuori dal normale contesto espositivo e illustrarla con cura. Questo è stato fatto con successo per “Allegoria della Pazienza” di Giorgio Vasari, non una delle tele migliori della Galleria (stavolta mi sono bastati due Ribera, un Rubens, un meno noto Salviati – per sentirmi già sazio). Ma scavando meglio, si scopre che quel quadro ha lanciato un’iconografia nuova della pazienza – virtù che spesso si auto-attribuivano i governanti del tempo – lasciando traccia di sé in libri, sculture, quadri di mezza Italia e oltre. Come a dire che Vasari aveva inventato un nuovo logo per governanti, diffusosi in battibaleno senza ausilio di mass media. Ancora più strano, che il cardinale che aveva commissionato l’opera a Vasari, ossia Leopoldo de’ Medici, gli aveva chiesto specificamente di cambiare l’iconografia della pazienza; voleva rivoluzionare il modo di pensare corrente, troppo legato a una visione (religiosa, per assurdo) che voleva cambiare. Un cardinale rivoluzionario in senso laico in pieno Rinascimento – niente male. E come fece Vasari per inventare la nuova iconografia del tempo e avere tanto successo? Si rivolse all’opinion leader per definizione di quegli anni – Michelangelo. Quel che diceva lui era legge, quel che faceva era fuori di discussione, e fu lui insieme a Vasari definì la nuova iconografia che è meno legata al Nuovo Testamento e più a Ovidio (vi accenno solo che fa riferimento al suo “gutta cavat lapidem” o “la goccia scava la roccia”). Comunque lo si guarda, Michelangelo era un grandissimo.
Daniele Liberanome, critico d’arte
(20 gennaio 2014)