Gli indifferenti
Immaginiamo – D-o non voglia! – che accada qualcosa di brutto a Cécile Kyenge, ministra per l’Integrazione. Immaginiamo che uno squilibrato, un esagitato, prenda sul serio quanto ha letto negli ultimi giorni – che so? – su “La Padania”. Immaginiamo che questo qualcuno interpreti la pubblicazione dell’agenda del Ministro non solo come un contributo alla cronaca, ma come un’istigazione a colpire oltre che contestare. Immaginiamo per un attimo. Di chi sarebbe la colpa?
Dell’aggressore, certo. Ma anche di tutti noi. Per aver perso la capacità di indignarci di fronte a espressioni di odio, intolleranza e razzismo che fino a pochi anni fa non avremmo consentito. Quando si legge che la Kyenge vuole portare in Italia la “negritudine” (movimento di pensiero raffinato fondato da Léopold Sédar Senghor), quando la Ministra è continuamente paragonata a varie specie di primati, quando il colore della pelle torna e essere un argomento, è chiaro che si sta scherzando col fuoco. E noi?
Molti – sono gli “indifferenti” di gramsciana memoria – semplicemente si voltano dall’altra parte. Alcuni, soprattutto a sinistra, difendono la Ministra con stanca ritualità. Pochi si rendono conto della reale gravità del problema. Ci sono infine i mestatori chic. Non radical-chic. Quelli del pane al pane vino al vino. Quelli di “basta col buonismo”. Sono quelli che pubblicano articoli razzisti, che prendono voti alimentando paura e odio, che esasperano il clima con la penna e la parola senza rendersi conto (o forse sì?) della materia pericolosa con cui giocano.
Sono quelli che non pagherebbero, se accadesse qualcosa. Perché alla fine pagherebbe solo l’autore del gesto, quello che alle loro parole ci ha creduto davvero.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas @tobiazevi
(21 gennaio 2014)