Storie – Poesie dall’esilio

avagliano“Dal tempo e dalla sua rima mi sono estraniato, / il tempo la mia rima mi ha rubato. / Dove i mondi crollano e s’annientano popolazioni, / per addensarsi in rima la parola non ha più occasioni. / Mettere in canto l’orrore non è forse azzardato, / strappare a ciò che non ha rima qualcosa di rimato, / per chi ancora le parole possiede nella parola cacciar di frodo / per illustrare la carie ossea della lingua trovare il modo, / e dove tutte le parole vengono meno, / scandire in sillabe la danza della morte a cuor sereno?”.
Così recitano i versi di una delle poesie più belle di Han Sahl, ebreo tedesco. Quando nel 1942 diede alle stampe il suo primo volume di poesie, “Le chiare notti. Poesie dalla Francia”, aveva quarant’anni. Alle sue spalle l’Europa in fiamme e nove lunghi anni di esilio, trascorsi per lo più a Parigi. Era fuggito dalla Germania nazista nel marzo 1933, unendosi alla schiera degli emigranti della prima ora, “non solo come ebreo, ma anche come oppositore di Hitler”, riparando dapprima a Praga, poi a Zurigo e infine a Parigi, fino allo scoppio della guerra.
Dopo l’invasione della Francia da parte delle truppe tedesche, venne internato nei campi di lavoro francesi, in uno dei quali condivise la drammatica esperienza con Walter Benjamin. Nel 1941 riuscì a fuggire e raggiungere Marsiglia, uno dei pochi porti d’Europa dal quale era ancora possibile salpare in direzione degli Stati Uniti. Approdò a New York e vi si stabilì, per rientrare in Germania definitivamente solo nel 1989, spegnendosi a Tubinga nel 1993.
Domani esce in libreria, per le edizioni Del Vecchio, il suo libro “Mi rifiuto di scrivere un necrologio per l’uomo” (pp. 272), curato e tradotto da Nadia Centorbi. Nei versi di Sahl, come scrive Franz Josef Görtz, “si può osservare il secolo intero, con tutti i suoi rivolgimenti e le imponderabili derive”.

Mario Avagliano @MarioAvagliano

(21 gennaio 2014)