Periscopio – L’identità
Davvero di estremo interesse l’iniziativa di Pagine Ebraiche di ripubblicare, a distanza di 56 anni, le risposte che i “50 saggi” resero alla domanda di Ben Gurion (formulata in occasione di una ridefinizione della Legge del Ritorno) relativa alla questione dei figli dei matrimoni misti e della possibilità di considerarli ebrei e di estendere quindi loro, automaticamente, la cittadinanza israeliana. Una domanda e delle risposte che, pur non esaurendo la complessiva questione dell’identità ebraica, di “chi” possa dirsi ebreo e di “cosa” sia quindi l’ebraismo, a tale questione risultano strettamente connesse, tanto da conferire a tale dibattito un’importanza davvero decisiva. Si conosceva e spesso si citava tale peculiare sondaggio, ma non si conoscevano (non io, almeno), fino ad oggi, i contenuti delle varie risposte, di cui si sapeva solo che erano molto discordanti le une dalle altre, a conferma, insieme, della problematicità dell’identità ebraica e della grande dialettica e articolazione interna al mondo degli ebrei, geneticamente antitetico a ogni forma di “pensiero unico”.
Decisamente impossibile, in uno spazio ristretto, commentare le varie risposte, che certamente offriranno lo spunto per un rinnovato dibattito su un tema di eterna attualità. Esprimiamo soltanto, innanzitutto, un sentimento di grande ammirazione e reverenza al cospetto della voce di questi uomini nobili, maestri di arte, scienza e dottrina, a cui l’umanità tutta è debitrice di un così alto patrimonio sapienziale: onore alla loro memoria e a chi tra loro, come il grande Elio Toaff, ancora ci illumina con la sua presenza. Ciò detto, ci permettiamo di fare un paio di considerazioni generali sulla distanza che sembra separarci dall’anno del sondaggio, il 1958: cosa è cambiato da allora? Potrebbe un sondaggio del genere essere proposto oggi? Le nuove risposte sarebbero molto diverse da quelle di allora?
Difficile rispondere. Ricordiamo soltanto che l’idea originaria del sionismo, fatta propria da Ben Gurion, era quella di un trasferimento globale in Terra d’Israele di tutti gli ebrei del mondo: un’idea che, a dieci anni dalla Dichiarazione d’Indipendenza, cominciava già a rivelarsi irrealistica, ma non poteva ancora dirsi definitivamente abbandonata, se non altro perché era ancora in vita la generazione che in nome di essa aveva combattuto per far nascere lo Stato ebraico. Ciò poneva la normativa israeliana in materia di identità e cittadinanza su una posizione di particolare rilievo a livello mondiale, valevole come un sorta di “interpretazione autentica” anche al di fuori dei confini di Israele. La totale solidarietà verso il piccolo stato, inoltre, era molto forte nella quasi totalità dell’ebraismo mondiale, così come diffusa era la convinzione che l’antisemitismo, pur non scomparso, fosse comunque stato sconfitto dalla storia, insieme al nazifascismo, e che il progresso dell’ebraismo andasse di pari passo con la crescita, a livello mondiale, dei valori di civiltà e democrazia. Stato e religione, infine, non solo erano, come efficacemente notato da Shmuel Agnon (uno dei “saggi”), “due vicini che non vanno d’accordo”, ma si trovavano anche in una posizione di reciproca ‘rivalità’ e diffidenza, tanto da far vedere con preoccupazione ogni possibile ‘cedimento’ verso l’altro.
56 anni dopo, molto è cambiato. C’è oramai la generalizzata convinzione che lo Stato d’Israele dovrà sempre convivere con la diaspora, e l’ebraismo diasporico, in Europa e in America, si interroga al proprio interno sull’identità ebraica, senza necessariamente guardare a Israele; l’identificazione degli ebrei con la patria ebraica (pur ancora larga e diffusa) è meno automatica di un tempo, e non mancano prese di distanza anche dure, da parte di ebrei che non si sentono più sempre dalla parte di Israele, né particolarmente interessati alle sue sorti, o che si impegnano soprattutto nel criticarlo; la stessa idea di Israele come rifugio sicuro per gli ebrei di tutto il mondo non è più incontestata, ed è proprio su Israele, anzi, che sembrano incombere le più serie minacce; si è dovuto prendere atto, e da tempo, che l’antisemitismo era tutt’altro che morto e sepolto, ma stava semplicemente leccandosi le ferite, per tornare alla carica ringiovanito e imbellettato, con nuove facce e nuovi slogan; i “due vicini”, sembrano litigare meno di prima, o, per lo meno, in modo più discreto; la grande solitudine di Israele, infine, rafforza il valore della scelta individuale di volerne essere cittadino: non è il caso di “fare le pulci” a un immigrato russo di dubbia ebraicità che dimostri la voglia e il coraggio – pur fuggendo da una vita anch’essa difficile – di condividerne il destino.
Se è possibile, comunque, definire dei parametri certi – ancorché opinabili – per stabilire chi abbia diritto di essere iscritto a una Comunità Ebraica, o di essere cittadino di Israele, ben altra cosa è stabilire un criterio universale atto a decidere “chi sia ebreo” e, soprattutto, cosa ciò significhi. Compito arduo, giacché, nell’età moderna, è proprio tale ricerca identitaria a essere diventata, essa stessa, un elemento identitario. Ed è una ricerca guidata dalla libertà del giudizio e della coscienza, tale da precludere un’“ultima parola”.
Francesco Lucrezi, storico
(22 gennaio 2014)