Ticketless – Trimalcione
Continua la cavalcata verso l’Oscar de “La grande bellezza” di Sorrentino. Il film non mi aveva molto convinto, quando lo vidi alcuni mesi fa. Servillo di certo è il Mastroianni della nostra epoca e ammetto che vi sono scene di grande effetto, ma la nostalgia di Fellini, uscendo dalla sala, non mi ha più abbandonato. “La grande bellezza” è una attualizzazione non pienamente riuscita de “La dolce vita”, per questo attrae gli americani, con l’aggiunta di elementi non trascurabili di “Satyricon”. Nessuno ricorda mai che i ridicoli festini romani immortalati da Petronio, caricature dei simposi greci, erano e sono dominati da un signore che oggi ha la faccia di Servillo ieri era Trimalcione, il cui nome ha una radice semita grande come una casa. Melech, il re. Trimalcione il “triplo” re.
Si discute tanto delle radici greco-cristiane dell’idea di Europa e, chissà perché, si rimuove sempre il numero tre, con buona pace di Lessing (i tre anelli) e della migliore cultura classica (tria corda). I re racchiusi nel nome del Servillo petroniano sono tre, non si può barare: il primo è greco, il secondo romano, il terzo ebraico. Trimalcione, anzi Trimalchione, era un liberto di origine semita, sosia di Servillo. Sono andato a riprendere in Satyricon, 48 il suo lapsus che è all’origine di una ampia e millenaria rimozione della cultura ebraica dalle radici europee. Rivolgendosi a un retore che porta con disinvoltura il nome d’Agamennone, con la flemma che osserviamo in Servillo quando sermoneggia su una terrazza romana, Trimalchione dice: “E’ vero che non faccio l’oratore, ma una cultura ad uso mio me la sono fatta. E non credere che disprezzi gli studi: ho tre biblioteche, una greca, l’altra latina”. La terza biblioteca non è nominata perché la cultura semitica (non può che trattarsi di questa, osservava Pierre Vidal-Naquet), ieri come spesso oggi è innominabile.
Alberto Cavaglion
(22 gennaio 2014)