Risposta unita contro l’odio

rassegnaSolidarietà di tutto il mondo politico per le squallide minacce rivolte agli ebrei italiani e romani e ai rappresentanti dello Stato di Israele in Italia. Dal premier Letta al ministro Kyenge, dal governatore del Lazio Zingaretti al sindaco Marino: il sostegno delle istituzioni è stato costante mentre procedevano le indagini degli inquirenti per risalire ai committenti dei tre pacchi, con simbologie tipicamente mafiose, recapitati presso la sinagoga di Roma, il Museo di Roma in Trastevere (dove è allestita la mostra “I giovani ricordano la Shoah) e l’ambasciata israeliana. Un’azione che suscita sdegno e sconcerto ma, come ha affermato il presidente UCEI Renzo Gattegna in una nota ripresa con grande evidenza da tutta la stampa nazionale, “gli ebrei italiani non sono spaventati né mai lo saranno”. Concetti sviluppati anche in un’ampia intervista rilasciata a Gabriele Isman di Repubblica. “L’intento offensivo del messaggio è forte – spiega Gattegna – e bisogna preoccuparsi di questi gruppi. Significa una volta di più che non dobbiamo abbassare la guardia, e ci conforta la tanta solidarietà delle istituzioni e l’ottimo lavoro, anche stavolta, delle forze dell’ordine”. L’intervista diventa inoltre l’occasione per parlare di antisemitismo non solo in Italia ma anche nel più ampio contesto europeo. “I sintomi sono gravi. Non dimentichiamo – prosegue infatti Gattegna – l’ultimo episodio in Francia, col comico antisemita che trasforma in barzelletta la Shoah. Ma anche in Ungheria, in Inghilterra e nei Paesi scandinavi esistono formazioni xenofobe e antisemite. Il problema è che non capiamo il perché di quest’odio. Della Shoah sappiamo tutto, eppure non comprendiamo ancora perché il Paese più potente d’Europa come la Germania dell’epoca abbia ucciso ebrei e minoranze fino alla fine, anche dedicando allo sterminio più energia militare che alla ritirata”. Sempre Isman, nel dorso romano del quotidiano, intervista il presidente della Comunità ebraica capitolina Riccardo Pacifici. Si parla dello specifico episodio intimidatorio ma anche del significato della Memoria e del lavoro che, in questo senso, viene portato avanti nelle scuole. “Per me – afferma Pacifici – questo 27 non è solo la Giornata della Memoria, ma è anche un appuntamento in tribunale con l’appello di Stormfront dopo la condanna arrivata nel giorno del ricordo della Shoah per noi ebrei. La vigilanza costante va mantenuta: i pacchi non sono solo contro la comunità, ma contro la Memoria di questo Paese”. Ricordando l’abbraccio tra Comunità ebraica e Testimoni della Shoah svoltosi in settimana in sinagoga, Pacifici ribadisce l’importanza di essere “sentinelle della Memoria”. Un invito da raccogliere, dice, “in nome dei nostri 6 milioni di fratelli ebrei morti nella Shoah, dei sopravvissuti e del loto coraggio di raccontare quell’orrore e soprattutto per i nostri figli”. Molto ascoltata anche la voce del rabbino capo Riccardo Di Segni, che Francesca Nunberg intervista per il Messaggero. “Chi ha confezionato quei pacchi non rappresenta la città”, afferma rav Di Segni. Alla giornalista che le chiede se le teste di maiale non rappresentino un salto di livello nell’antisemitismo strisciante, in Italia e ancor più in altri paesi europei, il rabbino risponde: “Mi pare che la novità sia la forma mediatica, questo mi ha sorpreso stamattina quando l’ho saputo. Diciamo la ‘creatività’ di questo gesto che comunque si inserisce nel flusso di ostilità antiebraica mai definitivamente debellata. Che ha diverse matrici: politica, sia di sinistra che di destra, religiosa, islamica. Il discorso sarebbe lungo”. Su Repubblica Gad Lerner, in un editoriale intitolato I macellai delle coscienze, scrive (con chiaro riferimento ad alcune vicende degli scorsi giorni): “Bene ha fatto il presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane Renzo Gattegna a elogiare la costante opera di prevenzione e vigilanza delle forze dell’ordine, scattata anche di fronte alla provocazione di ieri. Spetta allo Stato difendere l’incolumità dei cittadini e il patrimonio culturale ebraico. Vincendo così la tentazione di ricorrere a impropri strumenti di autodifesa che la diffusione dell’odio antisemita rischia di far degenerare. Gli ebrei italiani, per fortuna, non sono soli contro tutti. Purché la coscienza democratica non abbassi la guardia, ora che si affacciano di nuovo tempi bui”. Sul Corriere invece Paolo Conti riprende in mano una celebre frase dell’ex presidente UCEI Tullia Zevi “(“Abbiamo il dovere di ricordare, non solo per onorare i morti ma anche per difendere i vivi”) per spiegare come la Shoah riguardi l’intera umanità e non soltanto le comunità ebraiche. “La migliore risposta a quei tre orribili pacchi recapitati – sottolinea Conti – è andare avanti senza esitazione sulla strada della civiltà, e di una memoria dolorosamente condivisa. Infatti sarebbe tempo che il Campidoglio, come inutilmente chiedono da anni in tanti ai diversi sindaci di Roma, proclamasse finalmente giorno di lutto cittadino il 16 ottobre, proprio per rimarcare come la tragedia del 1943 faccia indelebilmente parte della storia di tutta Roma, non solo quella ebraica, e dei suoi lutti”. Ha ancora senso la Giornata della Memoria? È il titolo sotto il quale l’Osservatore Romano riporta alcune valutazioni della storica Anna Foa apparse sull’ultimo numero di Pagine Ebraiche relativamente al pamphlet Contro il Giorno della Memoria scritto dall’intellettuale ebrea torinese Elena Loewenthal. Pur condividendo alcune posizioni dell’autrice del libro, Foa chiede se “non varrebbe la pena, invece di tirarcene fuori in nome di quello che dovrebbe essere, di riconoscere ciò che è: che il peso simbolico della Shoah è ormai ricaduto sugli ebrei che già ne sono state vittime, imponendo loro, come a tutti i simboli, un compito”. Che è anche quello di aiutare i non ebrei “a fare propria l’opera della memoria, di indirizzarli verso un buon uso di questa memoria, di lavorare affinché essa diventi un imperativo etico aperto al mondo e non chiuso al solo passato degli ebrei”. Ad approfondire i punti salienti del pamphlet è anche Tobia Zevi, presidente dell’associazione di cultura ebraica Hans Jonas, sull’Unità. Tre, scrive Zevi, sono le questioni fondamentali sollevate dalla Loewenthal: “Il Giorno della Memoria si è impropriamente trasformato in un ‘omaggio agli ebrei’; la tragedia della Shoah non viene percepita come una componente drammatica della propria memoria ma come una vicenda altrui che merita attenzione; l’enorme quantità di manifestazioni attorno alla Giornata può essere addirittura controproducente”. Un ex deportato ad Auschwitz che non riesce a dimostrare di essere stato nel campo di sterminio. Una donna di 104 anni che lotta da anni contro l’Inps che le ha sospeso la pensione da perseguitata razziale. Su Repubblica Alberto Custodero racconta le vicende di Giuseppe Grossa e Adele Dnatter, due delle quasi seicento cause pendenti tra “vittime ultranovantenni dell’Olocausto e delle persecuzioni politiche e lo Stato”. Lo Stato, denuncia Custodero, “è sempre pronto a dire no e a fare appello contro sentenze favorevoli agli ex perseguitati”. Densa riflessione su Memoria, identità ebraica e coscienza nazionale da parte dello storico sociale delle idee David Bidussa che, sulle pagine domenicali del Sole 24 Ore, recensisce il volume di recente uscita ‘L’Europa e le sue memorie. Politiche e culture del ricordo dopo il 1989′ (ed. Viella)’ scritto da Filippo Focardi e Bruno Groppo. “La memoria – scrive Bidussa – è un processo creativo a due velocità: da una parte sapere che cosa è accaduto e dunque non falsare il passato (scavandolo nei minimi particolari perché il rischio delle mitizzazioni è fortissimo col passare del tempo); dall’altra sapere che quella scena deve interloquire con le generazioni successive, che ricostruiscono per loro quel passato dandogli un significato. La memoria non è un atto per dire che siamo fedeli al passato, bensì una procedura perché quel passato parli ancora al nostro presente e abbia significato per dare una qualche ipotesi di futuro”.
Omesso controllo su un giro di cartelle cliniche falsificate e gonfiate per avere rimborsi più consistenti dalla Regione Lazio: con questa accusa, nel ruolo di direttore generale dell’ospedale Israelitico di Roma, il presidente dell’Inps Antonio Mastrapasqua è iscritto sul registro degli indagati della Procura. La prima parte dell’indagine si è conclusa a ottobre con il rinvio a giudizio di otto medici e due dirigenti (tra cui il direttore sanitario Giovanni Luigi Spinelli) dell’ospedale. Il Corriere scrive come, a cavallo tra settembre e ottobre, “Mastrapasqua avrebbe reso dichiarazioni spontanee ai magistrati per cercare di chiarire la sua posizione”.

Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked

(26 gennaio 2014)