Nugae – Musica e speranza

matalonSfogliando il giornale a colazione la mattina presto, troppo presto per essere domenica, compaiono a un certo punto grandi e gradevoli alcune foto in bianco e nero di un pianista in t-shirt. È Leonard Bernstein che saltella davanti alle sue tastiere, protagonista di un libro biografico che in realtà è uscito ormai da qualche mese negli Stati Uniti, “The Leonard Berstein Letters”, una raccoltona di seicento pagine curata da Nigel Simeone e edita dalla Yale University Press. E non serve essere intenditori chic di musica per esserne affascinati, ma nemmeno una fanatica di musical (che poi notoriamente significa non essere intenditori di musica vera proprio per niente). Perché intanto per cominciare ha lo charme un po’ perduto dell’epistolario, quello di carta e inchiostro e lunghe riflessioni. Ci sono decine di migliaia di fogli scritti a mano da Bernstein a partire dal 1932 conservati negli archivi dedicati alla musica della Library of Congress a Washington, che nelle curve del corsivo fitto e piacevole raccontano una vita tormentosa. Nel libro poi non ci sono solo lettere da parte sua, ma anche indirizzate a lui. Dagli amici fedeli, dalla famiglia adorabile e adorata, da amori inquieti, da ammiratori illustri e incontri felici. Spicca Claudio Abbado, che era così bello avere come senatore a vita fra tutti quegli scienziati, e tempo fa gli aveva scritto: “Quello che ho imparato dalle sue prove, dal punto di vista musicale e umano, ho cercato di metterlo in pratica nelle prove dei miei ultimi concerti e sono sempre riuscito a trovare un contatto umano con l’orchestra”. E in effetti l’altro aspetto che colpisce di queste lettere è proprio che contengono questo miscuglio di punti di vista, musicale e umano, di armonia perfetta e di rapporti fra uomini che di perfetto non hanno proprio niente, anzi nel suo caso sono sempre piuttosto tendenti al tragico. E mentre nelle altre pagine del giornale tutto sembra un po’ West Side Story, meno male che nel 1938 Berstein scriveva che “la nostra ultima speranza sta nel lavoro che stiamo facendo”. E intanto a Roma nel Giorno della Memoria, di una memoria di cose orribili, risuonerà proprio un suono di violini, quelli scampati alla Shoah. Non a caso chiamati i violini della speranza.

Francesca Matalon, studentessa di lettere antiche twitter @MatalonF

(26 gennaio 2014)