Qui Venezia – Un club senza distinzioni
Per Paul Harris, fondatore del Rotary, le distinzioni religiose erano una ricchezza e non un problema. Il Rotary era quindi aperto a tutti senza alcuna distinzione religiosa. A partire da questo assunto, Gadi Luzzatto Voghera nel suo libro “Nessuna distinzione di razza, né di religione. Il Rotary italiano, gli ebrei, la persecuzione antisemita (1923-1938)” ripercorre la strada seguita dagli ebrei italiani: come divennero parte integrante della classe dirigente e come vennero accolti all’interno dei Rotary d’Italia, dalla loro fondazione nel 1923 fino allo scioglimento imposto nel 1938 dalle autorità fasciste.
La presentazione del volume, introdotto ieri nella Sala consiliare di Ca’ Loredan dall’assessore Tiziana Agostini, ha visto la partecipazione tra il pubblico non solo di membri ed esponenti del Rotary, ma anche di veneziani interessati all’evento inserito nel programma di commemorazione del Giorno della Memoria.
“Un tema scottante – ha affermato Luzzatto – su cui però ho avuto massima disponibilità e carta bianca nelle mie ricerche da parte del Rotary, un’associazione che come altre si è trovata ad affrontare in un periodo di totalitarismi, la questione ebraica, la presenza di illustri ebrei tra le sue file”.
L’universo ebraico è però particolarmente articolato e difficile da inquadrare in un solo percorso. Solo l’antisemita ama presentare gli ebrei come gruppo monolitico impegnato in un disegno ostile nei confronti della società esterna.
Gli ebrei si avvicinarono così fin dall’inizio all’esperienza del Rotary, una realtà che in quegli anni era molto piccola rispetto a oggi. Si parlava negli anni ’30 di circa 900 soci in tutta Italia, quindi un’esperienza di élite, rappresentativa di un mondo di potere di cui sono testimonianza gli ebrei che ne fanno parte.
Nel momento in cui si attivò il processo di emancipazione da uno stato di separatezza giuridica rispetto al resto della società civile lungo tutto l’800, gli ebrei conoscono uno sviluppo interessante sotto il piano della solidarietà, riproducendo all’esterno quei meccanismi che avevano permesso loro di sopravvivere nei ghetti in maniera unitaria.
Sono numerosi gli esempi anche nella realtà ebraica veneziana: si parla ad esempio del barone Jacopo Treves, che durante la Repubblica del ’48 dispose aiuti in maniera del tutto indiscriminata senza differenze di religione. Fino all’Unità d’Italia gli ebrei stessi erano esclusi dalle Opere di beneficenza di matrice principalmente cattolica. Il Rotary rappresentò invece una forma di beneficenza laica che Antonio Gramsci, dal carcere, accolse positivamente, come servizio alla società da vedere con interesse, in netta polemica con la Chiesta cattolica che considerava i rotariani una sorta di massoni, che andavano colpiti e censurati.
In questa prospettiva alcuni componenti di spicco delle comunità ebraiche entrano a far parte dei club del Rotary. In particolare è importante l’esperienza triestina dove l’establishment ebraico intratteneva stretti rapporti con quello industriale e finanziario. Gli ebrei che entrarono erano però piuttosto lontani dalla tradizione religiosa e poco rappresentativi delle comunità ebraiche allora operanti sul territorio nazionale.
Alla fine del 1938 vennero emanate le leggi razziali e i club rotariani, spinti dalle forze di regime, si sciolsero: non era ben accetta la sopravvivenza di una Società che non aveva mai espresso ufficialmente adesione al fascismo e le cui sedi erano luoghi di libertà in cui si poteva respirare qualcosa di diverso dalla battente propaganda in atto.
Questa coincidenza fra la fine del Rotary e l’emanazione delle leggi razziali, che risparmiò l’onta dell’espulsione degli ebrei che aveva invece colpito il Rotary tedesco, non è però avvalorata da fonti che confermino un rapporto diretto tra i due eventi. Ci sono alcune documenti di Polizia in cui si considerava il Rotary infiltrato da elementi massonici ed ebraici e quindi pericoloso per la società italiana, ma non si riscontrano vere e proprie azioni ostili.
Permangono però le storie di ebrei, membri attivi del Rotary, rappresentativi di un certo modo di essere rotariano e di essere ebreo: Teodoro Mayer fondatore del Piccolo di Trieste, che nel 1931 venne nominato da Mussolini presidente dell’IMI, l’Istituto mobiliare italiano, una delle strutture finanziarie ideate dal fascismo per far fronte alla crisi di Wall Street. Arnoldo Frigessi di Rattalma, padrone prima della Ras, poi delle Assicurazioni Generali, in continuo e costante contatto con personaggi fondamentali della finanza italiana, da Volpi agli Agnelli. Gino Jacopo Olivetti, direttore generale di Confindustria durante il fascismo, Guido Jung ministro delle finanze e fondatore dell’Iri e tanti altri come Cesare Sacerdoti, Carlo Foà, Giorgio Ascarelli, Isaia Levi ed Emilio Segrè.
Non è però chiaro come sia stato possibile che una così importante rappresentanza di una classe dirigente che aveva lavorato con il fascismo, in gran parte non in senso ideologico, e che controllava le leve finanziarie ed economiche del Paese, accettasse un percorso di rafforzamento del totalitarismo. Che si accettasse, apparentemente in maniera silente, l’emanazione delle leggi razziali e la chiusura di uno dei luoghi di incontro di questa élite, dei club del Rotary.
Questo è un interrogativo che per ora ha trovato poche risposte: alcuni storici dell’economia hanno affermato che in realtà il percorso di distacco fra gli esponenti della finanza italiana e il fascismo era già iniziato dall’avventura in Etiopia, ma non fu mai di fatto un distacco che riuscisse a produrre un cambiamento decisionale determinante.
Michael Calimani
(28 gennaio 2014)