Diritto alla memoria
“E allora dove sono andati a finire?”
A decenni di distanza mi è rimasta impressa la domanda che la rabanit Ornella Sierra (nostra insegnante di ebraismo alla scuola media) avrebbe voluto rivolgere ai negazionisti (erano gli anni ’70, quando il fenomeno iniziava a manifestarsi). Confesso che dopo decenni di riflessioni e dibattiti sul tema nessuna argomentazione mi è mai parsa altrettanto inoppugnabile nella sua semplicità. Ho sempre pensato che se mi trovassi di fronte a un negazionista gli chiederei: se le cose stanno come dici tu, dov’è andata la mia prozia? Dove sono andati i genitori, nonni, bisnonni, zii, prozii e cugini di persone che conosco? Forse pecco di ingenuità e in effetti non ho mai avuto l’occasione di verificare se sia davvero un’argomentazione efficace, ma penso che potrebbe essere utile, se non con i negazionisti veri e propri (serve a poco discutere con chi è in malafede), con tutti quelli che in qualche misura sono attratti dai loro discorsi; in particolare penso al mondo della scuola, agli adolescenti che facilmente subiscono il fascino di chi si presenta come anticonformista e libero da verità imposte. Chiedere dove sono andati a finire non dimostrerebbe nulla sul piano storico, ma avrebbe se non altro il merito di spostare il discorso dalla teoria al mondo reale, dal concetto astratto di “sei milioni” a un insieme concreto di persone, volti, storie, parentele e amicizie. Ci si renderebbe conto che la partita non è tra la libertà di parola del negazionista e chi vuole negargliela, ma tra chi desidera ricordare i propri cari scomparsi nella Shoah e chi fa di tutto per impedirglielo. In quest’epoca in cui si parla molto di diritti e si fatica a riconoscere i doveri, credo sia molto importante ricordare a tutti che anche la memoria è un diritto.
Anna Segre, insegnante
(31 gennaio 2014)