Brooklyn in Google Glass

google glassÈ domenica sera e ci troviamo in un centro culturale di Crown Heights, nel cuore di Brooklyn. Sedute di fronte a uno schermo vi sono persone molto diverse tra loro. Alcuni uomini indossano cappelli neri, mentre alcune donne hanno il capo coperto da parrucche. Altri invece hanno i capelli intrecciati in lunghi dreadlocks in stile Bob Marley. Il pubblico però non bada alle differenze, perché a catturare tutta l’attenzione c’è un documentario. Il lungometraggio proiettato nella sala è un documentario molto particolare. Per protagonisti ha le due comunità che popolano la zona di Crown Hights a New York – gli ebrei ultraortodossi e i West Indian Americans, americani originari delle isole caraibiche. E a ritrarli non sono state delle banali telecamere; i creatori del film, sette giovani newyorchesi appassionati di tecnologia, hanno preferito girarlo con Google Glass. L’ultima, geniale creazione made by Google è un quasi invisibile paio di occhiali che potrebbe farci ricredere sulla comodità degli smartphone. Quasi come dei pesci nell’acqua, siamo così immersi nell’universo dei palmari “intelligenti” che non ci rendiamo conto dei limiti che questi presentano: e se volessimo svolgere più azioni nello stesso momento? Scrivere un’email e bere un caffè? Parlare al telefono e seguire le indicazioni stradali per raggiungere il luogo dove abbiamo un appuntamento? Ma come facciamo a bere il caffè o camminare per strada, se nel frattempo dobbiamo digitare un messaggio o guardare uno schermo? Sarebbe pericoloso per noi e per chi ci sta intorno. Mentre uno smartphone non ci permette di esprimerci a dovere in una società dove il multitasking è spesso elogiato (se non addirittura necessario), Google Glass invece ce lo permette. Per chi non avesse mai sentito parlare di tale nuovo dispositivo, si tratta di una leggera montatura in titanio con un pulsante vicino all’orecchio, un minuscolo schermo che, posto di fronte all’occhio destro sovrappone immagini e scritte digitali alla realtà che ci circonda, più un sistema audio che manda delle vibrazioni ad un osso del cranio, che a sua volta le traduce in suono. Questi sono gli ingredienti che fanno di Google Glass un dispositivo elettronico senza precedenti, basato su un modo completamente nuovo di inserire la tecnologia nella nostra vita quotidiana: chi indossa i magici “occhiali”, può infatti contemporaneamente guardarsi intorno nel mondo reale, leggere le email, dettare SMS, seguire indicazioni stradali, e chi più ne ha più ne metta. La minuscola macchina fotografica nonché videocamera incorporata in Google Glass ha subito fatto sorgere numerose problematiche di tipo legale nonché etico. Senza che le persone intorno se ne accorgano, Glass può infatti girare un video di tutto ciò che vede colui che lo indossa. Non a caso il dispositivo non è ancora in vendita. Il fatto che Glass sia ancora in fase di sperimentazione, però, non significa che non sia già presente in numerose case. Google lo scorso agosto ha infatti deciso di affidare un prototipo del dispositivo a 10 mila fortunati in giro per il mondo, così da testare le sue funzionalità. Tra i vari Explorers – esploratori – vi erano i sette creatori del documentario girato con Google Glass, intitolato Project 2×1. L’idea del film è quella di regalare, sotto un unico sguardo (quello di Google Glass, ovviamente), la realtà di due comunità di abitanti a Crown Heights, gli ebrei ultraortodossi e i West Indians. Due al prezzo di uno, questo ciò che suggerisce il titolo del progetto, che esplora la bellezza e la diversità del quartiere di Brooklyn, e che è stato girato nel raggio di 2×1 miglia. La tecnologia sviluppata da Google ha permesso alla regista Hannah Roodman e ai suoi collaboratori di catturare la vita, i valori, le tradizioni e le lotte di entrambi i gruppi da un punto di vista interno alla scena, come attraverso gli occhi di un infiltrato, o addirittura di un membro della comunità. “Un conto è avere una comunità. Un altro è metterne insieme due”, spiega uno dei protagonisti del documentario, il musicista Freddy Harris, in una scena del film. Oltre alle differenze tra le due realtà infatti emergono anche alcuni aspetti paralleli: le donne che tengono i capelli coperti, alcune celebrazioni, e così via, ma soprattutto la passione che mettono entrambe le comunità nelle tradizioni che tramandano di generazione in generazione. Nella sala di Mister Roger – il centro culturale di Crown Hights dove si è tenuta la prima proiezione del film – regna il silenzio. Ci voleva una tecnologia come Google Glass per riuscire a guardare negli occhi il proprio vicino di casa, prima così diverso, ora così simile. Il pubblico si limita a lasciare la sala stupendosi di come un semplice paio di occhiali possa cambiare tutto il panorama.

Simone Somekh, Pagine Ebraiche, febbraio 2014

(4 febbraio 2014)