Odessa

salmonNel mondo slavo, il solo nome Odessa evoca immediatamente le immagini e i suoni di un perduto microcosmo ebraico. Evoca quel particolare accento yiddish con la erre moscia; gli odori di spezie levantine, di pesce e di sudore; i vocii ininterrotti di una variopinta calca umana; il volto occhialuto e stempiato di Isaak Babel’. Per due secoli, infatti, Odessa è stata l’emblema dell’ebraismo russo e del suo proverbiale umorismo. Ma proprio quel microcosmo russo-ebraico che nell’Odessa odierna non esiste più sopravvive oggi al di là dell’oceano, dall’altra parte del mondo. Sopravvive nella colonia di emigranti che, per tutto il XX secolo, a centinaia di migliaia, sono confluiti a New York, appropriandosi della famosa Brighton Beach. Non a caso, quella spiaggia all’estremità di Brooklyn è universalmente nota come Little Odessa. Proprio lì, come il tempo si fosse arrestato, potete ritrovare un ultimo angolino di Unione Sovietica: laggiù si parla ancora di “Leningrado” e ci si veste secondo la moda moscovita degli anni Settanta, ostentando strass, pastrani di jeans e pellicce stantie. A Little Odessa, proprio come in Russia, nessuno ha mai avuto bisogno di usare l’inglese e, forse (così, almeno narrano le barzellette locali) nessuno l’ha mai neppure imparato. Del resto, quello che ho visto nel 2005, l’ultima volta che sono stata a Brighton Beach, mi ha convinto che lo spirito della Grande Odessa ancora aleggi sulla Grande Mela. Dopo aver sentito con le mie orecchie un ambulante cinese urlare improperi in russo a un’ anziana signora ebrea, la quale, a sua volta, augurava al cinese di “finire in pasto ai cosacchi”, appesa alla vetrina di una rinomata rosticceria, ho visto coi miei occhi una scritta surreale e impagabile. Su un piccolo cartoncino marrone, appiccicato al vetro con lo scotch, era scritto col pennarello rosso e con un commuovente punto esclamativo: WE SPEAK ENGLISH!

Laura Salmon, slavista

(7 febbraio 2014)