Ticketless – Barbieri

cavaglionNel giro di poche settimane – in due occasioni ravvicinate – ho dovuto parlare in pubblico di me stesso. Quando mi capita, non so perché, torna alla mente il mio barbiere. Sì, Umberto, originario di Avellino, emigrato a Londra e poi rientrato in Italia. Umberto, come l’ultimo re d‘Italia, cui assomigliava vistosamente. Raccontava che, finita la guerra, le barberie londinesi si contendevano quegli allegri garzoni rasoianti e sforbicianti. Un’emigrazione sparita, nell’Italia di oggi, che bada a esportare soprattutto cuochi e cibo. Non il tradimento dei “chierici”, ma dei parrucchieri. Però attenzione. La celeberrima barzelletta sugli ebrei e i barbieri (perché i barbieri?) non c’entra per nulla. Quando in pubblico parlo di e stesso Umberto non mi viene in mente per nostalgia della chioma che non ho più, ma per la massima di Levitico Rabbah (14, 9 mi corregga rav Di Segni se sbaglio la citazione!) secondo cui “Non c’è barbiere che possa tagliarsi da solo i capelli”. Potenza meravigliosa dei nostri Maestri, che smascheravano la vanagloria di tanti nostri contemporanei, anche ebrei, che appena possono sfornano non una, due , tre autobiografie senza aspettare di essere diventati non dico saggi, come auspicava Spinelli, ma almeno calvi. “In ebraico”, ci arrivo anch’io, “la parola Io è costituita dalle stesse lettere della parola niente”.

In questa pagina due interpretazioni di Emanuele e Giovanni Cavaglion.

Alberto Cavaglion

(12 febbraio 2014)