Incolpare la vittima
“La colpa seguirà la parte offensa / in grido, come suol” (Paradiso, XVII, 52-53)
In meno di due versi (inseriti nella descrizione dei mali dell’esilio che il suo antenato Cacciaguida gli predice) Dante enuncia efficacemente una verità che constatiamo quotidianamente in tutti i contesti: l’opinione pubblica tende ad attribuire la colpa ai vinti, le vittime sono considerate responsabili dei mali che subiscono; “la piaga della fortuna … suole ingiustamente molte volte al piagato essere imputata” aveva scritto Dante stesso nel Convivio. Dato che più o meno tutti gli anni mi capita di spiegare questo Canto proprio nel periodo intorno al Giorno della Memoria, è sempre forte la tentazione di portare come esempio gli ebrei, che spesso sono invitati a spiegare le motivazioni delle persecuzioni subite; evito di farlo proprio perché quest’abitudine è così diffusa che non sono troppo sicura che i miei allievi ne siano immuni. Meglio, penso, portare l’attenzione su casi concreti, vicini alla loro esperienza, per esempio ragazzi discriminati e maltrattati dai compagni mentre la maggioranza silenziosa mormora che per trovarsi in quella situazione qualcosa di male dovranno pur averlo fatto. Di solito la semplice parafrasi della frase dantesca suscita qualche perplessità: tutti sono convinti che la solidarietà verso le vittime sia un sentimento naturale e pare assurdo che Dante affermi il contrario. Di fronte agli esempi concreti, però, qualche “Già, è vero” un po’ sorpreso si sente sempre. Si può legittimamente sperare che saranno gli allievi stessi, a cui è stato fatto notare un fenomeno di cui finora erano inconsapevoli, a riflettere ulteriormente allargando il discorso dalla loro classe alla società, dall’attualità alla storia. Difficile sperare che due versi scarsi di Dante bastino per far perdere l’abitudine a incolpare la vittima (abitudine, peraltro, da cui nessuno di noi è immune), ma almeno si può sperare che bastino per far venire qualche salutare dubbio.
Anna Segre, insegnante
(14 febbraio 2014)