Qui Torino – Darsi una mano, nella crisi
Due occasioni contemporanee di incontro e di collaborazione fra la Comunità Ebraica e la Chiesa Valdese hanno portato ieri molti esponenti delle due comunità a confrontarsi su aspetti molto diversi. Mentre a Torino si svolgeva di fronte a un numerosissimo pubblico la tavola rotonda “mano nella crisi?”, organizzata in occasione della concessione dei diritti civili a ebrei e valdesi nel 1848 con la collaborazione della Consulta Torinese per la Laicità delle Istituzioni, a Torre Pellice membri delle due comunità partecipavano all’inaugurazione della mostra “La natura e l’ebraismo: visioni e commenti” che presenta fino a fine aprile un contrappunto fra fotografia e notazioni bibliche.
In città invece Sergio Velluto, presidente del Concistoro della chiesa valdese di Torino, dopo aver presentato i partecipanti alla tavola rotonda ha tenuto a spiegare come l’aver organizzato l’incontro in collaborazione con la comunità ebraica sia particolarmente importante durante la settimana della libertà, che deve essere non solo un momento di ringraziamento ma bensì una occasione concreta di miglioramento. “Mano nella crisi?”, questo il titolo dell’incontro, si può leggere anche “ma non è la crisi?”, un gioco di parole voluto per stimolare i partecipanti ad una riflessione sulla vera natura del periodo di difficoltà che tanti stanno attraversando, che troppo facilmente viene spesso attribuita esclusivamente ad una crisi globale.
David Sorani, vicepresidente della comunità ebraica, ha mostrato la sua competenza come professore di storia aprendo i lavori con un inquadramento storico, in cui ha ricordato gli avvenimenti che hanno portato alla concessione dei diritti prima ai valdesi, il 17 febbraio 1848, e poi agli ebrei il 29 marzo dello stesso anno. Sancire i diritti delle minoranze è una delle prerogative più significative del cammino di uno stato liberale e civile, e in quest’ottica la concessione della libertà religiosa non è un’appendice delle libertà civili ma ne diviene la matrice: c’è la coscienza religiosa, e vengono quella politica, l’economia, il lavoro e il pensiero. Non a caso lo Statuto Albertino venne adottato dal regno sardo-piemontese il 4 marzo dello stesso anno, a portare nell’arco di poche settimane uno straordinario avanzamento dei diritti civili.
I diritti però non possono bastare, se – come hanno sottolineato tutti i relatori – sono troppi gli aspetti ancora irrisolti nel cammino verso una democrazia compiuta, e quando il disagio sociale è così forte. Sono arrivate chiare e forti le parole di Francesco Sciotto, il pastore valdese che a Palermo è impegnato in una quotidiana opera sociale in uno dei quartieri più difficili della città e di Rino Sciaraffa, dirigente della onlus Compassion, che si occupa di adozioni a distanza, a ricordare come la diminuzione del welfare, la riduzione delle opportunità di lavoro, e le nuove povertà non siano solo dei segnali preoccupanti ma le riprova che è necessario ragionare diversamente. L’onorevole Giorgio Airaudo, forte anche della sua esperienza sindacale, ha saputo portare in maniera viva e impietosa all’attenzione dei presenti la dimensione del problema, mostrando come sia insensato aspettare, discutere, tergivesare: non è più tempo di pensare alla povertà come qualcosa che “succede agli altri”, è necessario impegnarsi in prima persona e sforzarsi a cambiare approccio. Elide Tisi, vicesindaco di Torino che ricopre anche il ruolo di assessore ai Servizi sociali, ha portato numerosi esempi in cui la collaborazione fra le parti sociali e la disponibilità di istituzioni e cittadini ha permesso di ovviare a situazioni oggettive di enorme disagio. Senza questa collaborazione non sarebbe però possibile far fronte alle difficoltà, che stanno aumentando e che possono solo peggiorare se si lascia spazio a negazione, paura, rimozione. Nonostante si tratti di una situazione italiana e globale oggettivamente difficile – ha continuato – bisogna però ricordare come legalità e solidarietà siano concetti che vanno tenuti insieme, nel concreto, nel quotidiano. A rispecchiare quanto ricordato in apertura di incontro da David Sorani, quando ha spiegato ai presenti come in ebraico la parola tzedakah non significhi beneficenza bensì giustizia.
Ada Treves twitter @atrevesmoked
(14 febbraio 2014)