Ricordo
Si tende a usare la parola “ricordo”, oltre la sua polisemia, soprattutto per designare l’atto stesso del ricordare, “ricordo” come sinonimo di “memoria”. Non sempre si è pienamente coscienti, che numerose volte alla base dell’atto del ricordo v’è un oggetto – inteso come entità materiale “che è posta innanzi a noi” esterna e opposta al soggetto – che risveglia in noi, e riporta alla mente qualcosa di perduto o sfocato, e da qui può provocare persino una svolta, un cambio di rotta e di prospettive. Molte opere letterarie sono strutturate o scaturiscono del tutto da questi “oggetti catalizzatori del ricordo”, e il loro valore simbolico non manca in una definizione ampliata di “letteratura ebraica”. Si pensi al caso più noto della Madeleine nella Recherche di Marcel Proust, dove questo dolcetto ha la funzione di far riaffiorare i ricordi d’infanzia del protagonista, dando poi avvio all’opera. I sepolcri della necropoli di Cerveteri, rimandano nel pensiero di Giorgio Bassani, al cimitero ebraico di Ferrara, e alla tomba monumentale dei Finzi-Contini, e anche qui funzionano da catalizzatore del romanzo omonimo. In Everything is Illuminated di Jonathan Safran Foer, la “ricerca” familiare del protagonista diparte prevalentemente da una fotografia. Come analogamente avviene in Austerlitz di W. G. Sebald, un mosaico costruito da fotografie-ricordi che azionano e riscoprono la storia di Jacques Austerlitz, professore di storia dell’architettura, ebreo e figlio di deportati nei campi di concentramento. Molte opere di Walter Benjamin, si presentano in una struttura topografica-mnemonica, come Strada a Senso Unico o Infanzia Berlinese. Qui gli oggetti divengono origine latente o esplicitata nel testo di opere letterarie, ma lo stesso ruolo lo occupano sovente in storie personali e nella realtà. Anche in un’infanzia come la mia, in una famiglia mista e assimilata, gli oggetti hanno sicuramente influito nel ricondurmi a una memoria ebraica: come la presenza della Menorah che vedevo primeggiare nella penombra della biblioteca di famiglia; o a dieci anni, quando scovai due volumi che raccoglievano interamente francobolli di Israele, spingendomi a ricopiarne e ripeterne i soliti caratteri ebraici che vedevo stampati, pur senza conoscerne il vero significato. Se anche venissimo colpiti da una grave amnesia, saremmo sempre circondati e infestati dai ricordi, come destinati a percorrere le sale di un museo continuo, o di una wunderkammer. Questo fa sì, che in un cambio di regime o di ordine, si provveda innanzitutto, a distruggere, e buttar giù i simboli, gli edifici, e i monumenti che appartengono e rappresentano metaforicamente il passato e il vecchio potere. La Germania ridotta in macerie, ha ricostruito gran parte delle proprie città secondo nuovi e avveniristici parametri, anche per incentivare il processo di Vergangenheitsbewältigung (“superamento del passato”), e livellare il divario tra ovest ed est dopo la caduta del muro, ma questa riedificazione ha finito per creare un “vuoto di memoria” collettivo, che si risente con la cosiddetta Ostalgie per i cittadini dell’ex DDR, o con un riallacciamento a un ideale passato anteriore al 1933 che spinge a riprodurre finti quartieri medievali o programma addirittura la ricostruzione ex novo dell’ottocentesco Castello di Berlino. In Italia, come riportava un articolo dell’Espresso, si riseppellisce invece il ritrovamento di un’altra parte di Pompei, per la costruzione di un centro commerciale, che magari diverrà parte integrante dell’indotto turistico proveniente dagli scavi, un po’ come alla Mecca, dove per far posto a infrastrutture connesse al pellegrinaggio, viene sempre più erosa e distrutta la vera città storica del profeta dell’Islam. E Pompei è solo un caso in una lista lunghissima e senza fine. Allora penso, che se c’è un venir meno della memoria in Italia, di ogni tipo di memoria, sia da imputare anche alla svendita del territorio e al crescente degrado del suo patrimonio artistico-culturale, perché la trasmissione della storia, passa attraverso la preservazione dei luoghi e all’importanza data agli oggetti. Altrimenti, specie in un mondo sempre meno orale, non ci può essere memoria.
Francesco Moises Bassano, studente
(14 febbraio 2014)