Identità: Eliezer Finkelstein

Identità - Cosa significa essere ebreo?Nel 1958 l’allora Primo ministro dello Stato di Israele, David Ben Gurion si è trovato a gestire il fatto che la nozione stessa di identità ebraica era diventata in Israele oggetto di una legislazione che avrebbe avuto implicazioni pratiche cruciali. A cinquanta “Saggi di Israele” Ben Gurion pose la domanda divenuta il titolo del lavoro del professor Eliezer Ben Rafael, che in un e-book intitolato “Cosa significa essere ebreo?” – scaricabile dai siti www.proedieditore.it e www.hansjonas.it – ha messo in luce per la prima volta in Italia quella discussione sistematica sull’identità ebraica. Ogni domenica, sul nostro notiziario quotidiano e sul portale www.moked.it, troverete le loro risposte. Oggi è la volta di Louis Eliezer Halevi Finkelstein. Nato a Cincinnati da padre rabbino ortodosso, è stato professore di teologia, poi preside e rettore di quello stesso Jewish Theological Seminary dove ha conseguito l’ordinazione di rabbino nel 1919. È stato consigliere del presidente Roosevelt per gli Affari ebraici e ha pubblicato numerosi lavori sulla storia e la cultura ebraiche

Egregio Signor Ben Gurion,

In risposta alla Sua lettera del 13 cheshvan, devo dirle, in primo luogo, che non ho l’abitudine di occuparmi di questioni legate a decisioni della Halakhah. Ci sono molte persone più esperte di me in materia e non sono degno di discuterne. Tratterò dunque solo l’aspetto pratico del problema.
Il problema che sorge è una questione di definizione. È molto difficile cambiare definizioni correnti nella nazione senza mettere confusione in tutto ciò che vi si riferisce. Appena si comincia a discutere su una definizione, si innescano problemi che riguardano tutte le altre, come, per esempio, perché shabbat comincia [tra gli ebrei, la vigilia della] sera e non la mattina; perché abbiamo un anno lunare e non solare e così via. Abbiamo ricevuto dai nostri avi un gran numero di definizioni e ciò che le accomuna è che, grazie a queste, si riconosce il carattere della nazione. Solo la tradizione storica permette di capire il canone biblico, il ruolo dell’ebraico da noi, e anche lo spazio che la Terra di Israele prende nei nostri pensieri e nel nostro modo di concepire la vita, e tutto ciò fa parte del patrimonio che ci hanno trasmesso i nostri avi. Non dobbiamo in nessun caso allontanarci da tali definizioni. Anche coloro che non hanno affrontato questi problemi, partendo da una posizione favorevole alla religione e alla tradizione, hanno capito quale catastrofe ci aspetterebbe in quanto nazione peculiare, se volessimo rimettere in discussione nozioni che sono già state stabilite nei tempi antichi.
Si deve in particolare evitare di seminare confusione in una definizione di cui conosciamo la storia e i motivi. I nostri avi hanno a lungo dibattuto fino a giungere alla conclusione che ebreo è colui nato in santità, cioè da madre ebrea o convertita, oppure chi si è convertito; e che non si deve, nel nostro caso, fare riferimento alla genealogia paterna. Inoltre, nel caso di un ebreo che ha sposato una non ebrea, i nostri avi non hanno visto alcuna ragione di essere meno severi perché, nella maggior parte dei casi di matrimoni misti dall’epoca di Esdra fino ai giorni nostri, le donne erano non ebree. Esdra ha capito che tali matrimoni potevano portare l’intera nazione ad assimilarsi agli [altri] popoli. I bambini sarebbero stati educati nell’essenziale del loro atteggiamento verso la vita, delle loro tendenze spirituali, delle loro concezioni fondamentali e della loro coscienza, da donne non ebree che non conoscevano il comportamento ebraico e non si erano impegnate a osservarlo. I nostri Saggi, che ne sia benedetta la memoria, hanno capito che l’educazione fondamentale del bambino è quella che riceve ancora nella culla, prima che impari a parlare. Un’educazione che il più delle volte riceve da sua madre e questa deve essere o nata dal nostro popolo o essersi impegnata a osservare l’ebraismo. Naturalmente, se accetta la tradizione e la religione ebraiche, diventa totalmente ebrea, come Rut la moabita, ed è degna che da lei nascano re e dirigenti di Israele.

Nella nostra epoca, e in particolare nella diaspora, si può vedere la saggezza di Esdra e la sua profonda comprensione della vita. Il numero dei matrimoni misti è in costante aumento; ci sono città, qui, nell’Ovest del Paese, dove in più della metà dei matrimoni, la donna non è ebrea. Sebbene i figli portino frequentemente il nome del padre e della sua famiglia, non si deve in nessun caso infrangere la Halakhah per la quale non possono essere riconosciuti ebrei se non si impegnano a osservare la nostra tradizione in un modo ufficialmente riconosciuto. Devono sapere che possono scegliere di rimanere non ebrei oppure di convertirsi. Se preferiscono l’ebraismo, si assumono obblighi importanti verso la tradizione e nei confronti del popolo di Israele.
Il grande pericolo, qui, è che il problema e la sua soluzione siano rimandati di giorno in giorno, e che non riescano a decidere in modo netto se sono ebrei oppure non lo sono. Coloro che resteranno in una situazione incerta, sceglieranno la strada facile, avere i privilegi degli ebrei, mescolarsi con noi, con la nostra comunità ma restare non ebrei per quanto riguarda i loro doveri, cioè imparare, capire e spiegare ai loro figli la natura dell’ebraismo.
Lei conosce il mio approccio che le ho spiegato quando ero in Terra di Israele, sei anni fa: abbiamo un solo centro spirituale, a Gerusalemme. Non abbiamo due tradizioni e non abbiamo due nazioni. Per questa ragione ha fatto bene a rivolgersi anche ai saggi di Israele in diaspora perché è evidente che la decisione presa in Israele, su tale questione, avrà importanti ripercussioni sulla diaspora.
Si devono sicuramente prendere anche in considerazione le difficoltà derivanti da questa conclusione, dovute ai figli che, senza conoscere la posizione della tradizio- ne in materia, si sono creduti ebrei e sono sorpresi quando vengono a sapere che non riconosciamo la loro ebraicità. Anche qui ci sono casi di questo genere e ho avuto diverse esperienze in cui mi è stato necessario spiegare ai figli di matrimoni misti la posizione della tradizione nei loro confronti. Quando questi giovani hanno capito che, per l’ebraismo, la madre è l’essenza della famiglia, per le questioni spirituali, e perciò la risposta alla domanda se sono ebrei di nascita, oppure no, dipende dalla posizione della madre, hanno accettato di convertirsi ufficialmente e secondo le regole.
È chiaro che nei confronti di questi figli dobbiamo comportarci in modo caloroso, che divengano, o meno, ufficialmente ebrei. Se adottano la religione ebraica, sono convertiti, e la Torah ci ha ordinato quarantasei volte di amare i gherim. E se non vogliono unirsi al nostro popolo, essi sono certamente dei “pii tra i popoli del mondo”, o almeno dei saggi, e dobbiamo amare anche loro. Su questo caso i nostri Saggi hanno già dichiarato: “Che la mano sinistra respinga ma che la mano destra accolga”. Dobbiamo sperare che riconoscano il valore della nostra Torah e della nostra tradizione e che si avvicinino a queste e alla nostra nazione. Sebbene in genere non cerchiamo di “attirare” i convertiti, questi figli di padre ebreo hanno un legame con il nostro popolo, e per mettere le cose al loro giusto posto, dobbiamo certamente fare in modo, per quanto possibile, che vogliano unirsi a noi. Le esprimo tutta la mia stima e la mia amicizia.

Louis Eliezer Halevi Finkelstein

(16 febbraio 2014)