Periscopio – Diario di guerra
Venerdì scorso, presso la biblioteca comunale di Trani – una cittadina che, negli ultimi anni, si segnala per la particolare sensibilità delle istituzioni, degli ambienti culturali e dei cittadini sul piano della custodia della memoria, del civile confronto delle idee e della promozione dei valori umani -, è stato presentato un libretto prezioso, la cui lettura andrebbe vivamente consigliata tanto ai ragazzi quanto agli adulti: Diario di guerra 1944-1945, di Benito Luigi De Cesare (ed. La Matrice, pp. 171). Si tratta del testo, trascritto senza alcuna modifica, del diario a cui l’autore, all’epoca quindicenne, affidò le proprie impressioni riguardo alle tragiche vicende – i bombardamenti degli Alleati, le spietate esecuzioni sommarie, il clima di divisione, confusione e smarrimento che pervadeva la cittadinanza – che segnarono la vita di Bologna – la città dell’autore – tra il 30 aprile 1944 e il 21 aprile 1944, giorno della liberazione della città da parte degli angloamericani.
Testimonianza diretta dell’impatto della dura realtà della guerra ( “maestra fantastica – annotò il giovane De Cesare – che ti abitua a tutto e tutto riesce a plasmare, a modificare, a ricreare”) sulla personalità, in via di formazione, di un ragazzo, il libro rappresenta soprattutto la descrizione (dall’interno, e senza nessun filtro letterario) di una presa di coscienza, della maturazione di un’autonomia di giudizio, di una libera capacità di discernimento tra il bene e il male, favorita non dall’insegnamento di libri o precettori, ma dalla diretta voce della terribile “maestra fantastica”. Una maestra che, nel caso di specie, ebbe modo di farsi ascoltare da un allievo particolarmente vigile e perspicace. Figlio di un fervente fascista – della cui fede Benito Luigi conserva evidente traccia, senza alcun imbarazzo, nel suo stesso nome di battesimo -, il giovane narratore –capisce rapidamente, da solo, il tragico inganno in cui il suo più famoso omonimo ha irretito il Paese,trascinandolo verso la catastrofe. Fra i motivi principali del suo cambiamento interiore, l’acquisita consapevolezza della natura degli alleati tedeschi, “oppressori dei popoli europei ed oltretutto razzisti della peggiore razza, che vedono gli ebrei come il fumo negli occhi”. Ma, pur avendo cambiato campo ideale di appartenenza, non esita a esprimere la propria esecrazione quando riceve notizia di quelle che gli paiono inescusabili e gratuite violenze dei partigiani (nel caso, per esempio, dell’assassinio di Giovanni Gentile); e, mentre la maggior parte degli oppositori del regime, vecchi e nuovi, si rivolge a quella che sembrava la principale forza organizzata antifascista, e il probabile, futuro potente di turno, Benito Luigi manifesta la sua diffidenza: “non vorrei entrare in una brigata comunista, perché non mi fido del tipo di ‘libertà’ che inseguono i comunisti”. E infine, nell’Italia finalmente liberata, improvvisamente risvegliatasi, non si sa con quanta convinzione, integralmente antifascista, il giovane autore affida a un breve post-scriptum (datato 16 settembre 1945) un’amara considerazione: “Il fascismo è morto, perché allora molti di coloro che affermano di avere consacrato la propria esistenza alla lotta contro il fascismo, pensano ed operano nello stesso modo del medesimo?”.
Oggi Benito Luigi è uno stimato medico di 85 anni (li compirà il prossimo 5 marzo: auguri!), che vive felicemente a Trani, circondato da una bellissima famiglia e tanti amici. E ha pensato bene, proprio in questi giorni, di prendere la tessera di un partito politico, per dare in modo ancora più incisivo il suo contributo alla comunità. “Non diffidate pregiudizialmente della politica – ha detto, rivolto ai giovani, nella serata di presentazione del suo libro -, perché può essere una cosa molto bella”.
Ascoltiamolo. Ha avuto ragione nel 1944, merita di nuovo fiducia, 70 anni dopo.
Francesco Lucrezi
(19 febbraio 2014)