Separare la Shoah da Israele
Il convegno torinese di lunedì scorso dal titolo “Negazionismo: serve una legge?” ha offerto un’infinità di spunti di riflessione, non solo sul tema in sé, ma anche su molte altre questioni, dal Giorno della Memoria all’unicità della Shoah, dai veri scopi dei negazionisti alle forme che assume oggi l’antisemitismo. Personalmente mi sono pienamente ritrovata d’accordo con l’impostazione proposta da rav Beniamino Goldstein, che sottolineava il valore della dignità umana (delle vittime e dei loro parenti) che i negazionisti calpestano; su questo punto, invece, la professoressa Donatella Di Cesare ha espresso un leggero e garbato dissenso perché la lotta al negazionismo non deve configurarsi come una partita tra i negazionisti e gli ebrei, ma riguarda l’intera società. Verissimo, ma chi sono gli ebrei che i negazionisti descrivono, contro cui si scagliano? A me pare di capire (anche in base a ciò che è stato detto nel convegno) che nei loro discorsi non si parli tanto di singoli, quanto di entità potenti e ben organizzate, lobby e “poteri forti” che condizionano la politica e la cultura. Non sarebbe allora opportuno, proprio per scardinare questa immagine dell’ebreo come parte di una potente e compatta collettività, dare peso e importanza nel dibattito pubblico alle persone concrete, con nomi e cognomi, ciascuna con la propria storia? Senza contare che si tratta di cittadini italiani, che logicamente desiderano essere tutelati dalle leggi del proprio paese. Quest’ultimo aspetto nel dibattito pubblico rischia di passare in secondo piano quando gli ebrei sono impropriamente identificati con Israele. Infatti, come hanno giustamente messo in evidenza la stessa Donatella Di Cesare e Furio Colombo, è Israele il vero bersaglio dei negazionisti: si nega la Shoah per delegittimare lo Stato ebraico. Ma se le cose stanno così, se ogni discorso sulla Shoah va a cadere inevitabilmente su Israele (e da insegnante ho occasione di constatarlo continuamente), portare il discorso sulle singole persone offese nella propria dignità non potrebbe essere un mezzo efficace per far comprendere che quando si parla di Shoah Israele e la politica mediorientale non c’entrano per nulla?
Quello tra la Shoah e Israele è un abbraccio mortale da cui, per il bene di Israele, dovremmo liberare tutti i discorsi, non solo quelli degli altri ma anche i nostri. Purtroppo le banalizzazioni della Shoah e i paragoni impropri si sentono anche all’interno del mondo ebraico. È già un grave errore, a mio parere, paragonare con troppa leggerezza i nemici di Israele ai nazisti (se vogliamo convincere gli altri dell’unicità della Shoah non dovremmo essere noi i primi a negarla); ancora più grave usare questi paragoni per i critici dello Stato ebraico, per quanto malevoli e in malafede; gravissimo usarli, come purtroppo accade spesso anche tra ebrei, contro soldati e politici israeliani. Più confondiamo e mescoliamo i discorsi sulla Shoah e quelli su Israele più facciamo il gioco degli antisemiti; più banalizziamo la Shoah con paragoni inopportuni più facciamo il gioco dei negazionisti. Sarebbe bello poter liberare Israele dalla Shoah, da questa cappa opprimente, da questa caligine che confonde e avvelena tutti i discorsi, i nostri non meno di quelli altrui.
Anna Segre, insegnante
(21 febbraio 2014)