Storie dal Ghetto, storie di vita
Dopo una lunga attesa “Ghetto”, il commovente balletto sulla storia degli ebrei d’Europa che il coreografo Mario Piazza ha portato nei più prestigiosi contesti internazionali, sbarca finalmente in Italia e a Roma. L’appuntamento è al Teatro dell’Opera per una settimana di programmazione (25 febbraio- 2 marzo) rivolta al grande pubblico e in particolare a chi, spiega l’artista, “vuole conoscere più da vicino il mondo ebraico, le sue storie, le sue passioni, la sua normalità”.
La performance di Piazza – premiata con uno dei più importanti riconoscimenti per le Performing Arts dalla European Association for Jewish Culture – si ispira direttamente alla vita e ai paesaggi del vecchio ghetto di Roma. Un legame fortissimo con le proprie origini che l’artista ha sviluppato con l’idea di fare del suo Ghetto “un’isola di approdo delle genti, un luogo dove abitano e si esprimono le esperienze delle tante persone che vi si incontrano e in cui le storie di tutti si fondono in un’unica storia dell’umanità”.
Tra sogno e realtà
Ghetto è stato premiato con uno dei più importanti riconoscimenti per le Performing Arts dalla European Association for Jewish Culture a Londra e patrocinato, tra gli altri, dall’Ambasciata d’Israele a Sofia (Bulgaria). Il lavoro è il risultato di un percorso a confronto con temi come la ghettizzazione, l’emarginazione e l’identità culturale. Il ghetto è anche è un luogo di ritrovo dove approdano, si rifugiano, sognano quelli che sono lontani dalla propria terra d’origine e si confondono con chi vive accanto ai propri cari. Il ghetto come isola di approdo di un teatro delle genti, un luogo dove abitano e si esprimono le esperienze delle tante persone che vi si incontrano e in cui le storie di tutti si fondono in un’unica storia dell’umanità. Traggo ispirazione dall’antico ghetto di Roma per sviluppare questo cammino attraverso il completamento e l’approfondimento dei temi che ne fanno un luogo speciale. A Roma, grazie alle pietre d’inciampo, ogni passante può leggere sulle stesse il nome delle persone che sono state deportate, lasciando un segno indelebile nella memoria. La musica e i cori dei bambini che riempiono l’aria di magia, mistero e gioia, sembrano far pensare che sia sempre stato un luogo di pace. Ogni angolo del ghetto è un posto sicuro e una casa da difendere. Gli incontri tra le persone ci daranno l’idea delle diffidenze, e allo stesso tempo del bisogno di comunicare e di relazionarsi l’un l’altro. Un bisogno impellente di umanità.
Il ghetto è un contenitore di emozioni e una tra le emozioni più forti che lo animano è la nostalgia che si esprime con un legame che resta nella memoria e nel cuore con un attaccamento viscerale alle proprie radici. La nostalgia, ancora, è uno dei nodi cruciali delle migrazioni che in questi luoghi si intreccia con il desiderio di adattamento alla nuova condizione e alla difficoltà di integrazione, alla perdita delle radici e al timore di assimilarsi smarrendo il proprio patrimonio culturale, sociale e religioso. Rinasce il ricordo di ciò che è accaduto in un’azione che inizia il giorno del matrimonio di David e Sarah. I due vivono a ritroso le memorie di quel momento felice, circondati dall’affetto dei propri cari e della comunità. Una storia d’amore nata nel ghetto che attraversa momenti di grande gioia e dolore. La storia di una comunità solidale, abituata a convivere con rispetto e tolleranza insieme alle altre realtà religiose. Si passa attraverso le persecuzioni razziste, il martirio, la solidarietà e le feste con gli amici con estrema leggerezza, aleggia il sentimento della danza e delle citazioni letterarie.
La memoria dei parenti cari e delle tradizioni vive e permea ogni gesto quotidiano, dove tradizione e cultura si fondono per essere tramandati dai saggi. La famiglia si stringe attorno ai giovani e ne segue la crescita e la formazione. Gravi fatti esterni, inoltre, vanno a colpire l’operosa comunità creando lacrime i cui echi di dolore dal passato giungono fino a noi. La Hatikvah (personaggio che sembra una citazione di Chagall) accompagna il tutto evocando la vita e la storia ebraica. Sarà lei a incontrare personaggi poetici e complessi come David e Sarah, gli amici, la gente del ghetto, la famiglia, il rabbino e gli altri precettori.
Siamo andati alla ricerca del senso più profondo del tema dell’esilio espresso dalle genti dei ghetti e quindi della più profonda e disperata emarginazione che si evince attraverso i canti zingari, che accomunano questo ebraico sentire dell’eterno errare degli uomini tra muri inespugnabili e infinitamente invisibili. Se il voler vivere e sopravvivere significa esprimersi, abbiamo cercato le ragioni del sorriso, le radici da cui riesce a fiorire una creatività che nessuna coercizione è in grado di reprimere.
La storia dei ghetti è piena di umano interesse, con i suoi vertici di eroismo, i suoi miracolosi racconti di scampo, i suoi deprimenti abissi di pathos ed esasperazione. Un concentrato della natura umana che rivela i vari e sottili motivi che spingono gli uomini ad agire in un determinato modo. Lo spettacolo vuole dare una lettura del ghetto interpretata dai danzatori, come espressione dell’energia fisica e mentale. Il tessuto musicale del progetto è basato sulla musica klezmer. In contrasto con l’idea originale del ghetto come luogo chiuso e circoscritto, il klezmer è patrimonio di musicisti che per scelta e costruzione sono in continuo movimento quasi a simboleggiare il sogno di libertà che accomuna le genti.
Questo tipo di musica nasce all’interno delle comunità chassidiche e il frutto del lavoro coreutico ad essa legato ha origine dall’inevitabile bisogno di esprimere una identità soffocata in un grido liberatorio che esorcizza il male e ci porta alla positiva volontà di esistere. In un momento in cui tutti dovremmo essere impegnati ad abbattere le barriere sorte dalla paura dall’egoismo e dalla diffidenza, si è sviluppata l’idea di affrontare un argomento come quello della segregazione. Ghetto non vuole essere uno spettacolo narrativo, basato su una drammaturgia che ci riporta semplicemente alla storia dei ghetti. Intendiamo invece evocare l’atmosfera culturale, psicologica e umana delle genti zingare, ebree, nere e definite in qualche modo diverse. Partendo dalla banalità del quotidiano ed esaltando il senso di ribellione dell’essere umano per affermare l’inalienabile diritto di ciascuno alla vita.
Mario Piazza, coreografo
Italia ebraica, luglio 2013
(23 febbraio 2014)