oro…
Quello stesso oro che gli ebrei hanno portato via dall’Egitto, a titolo di risarcimento per il lavoro svolto come schiavi, costituisce l’ingrediente fondamentale sia per il vitello d’oro che per il Tabernacolo e per i suoi arredi, come la lampada a sette braccia e le vesti sacerdotali. Un oro a doppio taglio, usato in un caso come trasgressione e nell’altro come prescrizione. Un oro, quindi, metafora di un’energia che può costituire la medesima fonte della nostra elevazione come della nostra degradazione. Nella costruzione del Tabernacolo gli ebrei assimilano a sé l’oro egiziano, nel vitello d’oro vengono viceversa assimilati dall’oro in un irretimento idolatrico paradigma di una regressione verso l’Egitto. Due esperienze contigue quindi, che indicano come quelle nostre stesse risorse e opportunità possano essere utilizzate per le più alte forme di creatività ma anche, purtroppo, per le più basse forme di degradazione.
Roberto Della Rocca, rabbino
(25 febbraio 2014)