Storie – Far conoscere Auschwitz
Nel primo dopoguerra Auschwitz non era ancora assurta a simbolo della Shoah italiana (ed europea) ed era quasi del tutto sconosciuta agli occhi dell’opinione pubblica. Tutt’al più era un nome tra i tanti della galassia concentrazionaria nazista.
Uno dei primi in Italia a condurre ricerche per far conoscere cosa fosse accaduto agli ebrei nel cuore dell’Europa durante la seconda guerra mondiale e che fine avevano fatto gli ebrei deportati dal nostro Paese, fu Massimo Adolfo Vitale, un personaggio che meriterebbe maggiore notorietà a livello nazionale e che, fra l’altro, fu tra i fondatori del Cdec a Milano.
Vitale, dopo ventotto anni vissuti in Africa come funzionario governativo del Ministero delle Colonie italiane e poi dell’Africa italiana e il licenziamento nel 1939 in seguito alle leggi razziali, nel maggio 1945 era stato nominato presidente del Comitato Ricerche dei Deportati Ebrei di Roma. In questa veste condusse un’instancabile attività di ricerca, oggetto dell’interessante libro di Costantino Di Sante, “Auschwitz prima di Auschwitz. Massimo Adolfo Vitale e le prime ricerche sulla shoah italiana” (ombre corte, 190 pp.).
Il saggio è arricchito da vari preziosi documenti, tra cui spicca quello redatto dallo stesso Vitale sulla storia del campo di Auschwitz, uno dei primi in assoluto. Egli, dopo aver assistito a Varsavia, tra il marzo e l’aprile del 1947, al processo al comandante del campo Rudolf Höss, come osservatore italiano per conto dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane e del Ministero di Grazia e Giustizia, stilò un dettagliato resoconto del suo viaggio in Polonia.
La relazione di Vitale, la ricerca di notizie sui deportati italiani, la raccolta delle testimonianze dei sopravvissuti (pubblicate nel libro di Di Sante), tra cui anche quella di Primo Levi, e le battaglie che condurrà contro l’antisemitismo rappresentano ancora oggi un esempio e un antidoto contro il negazionismo, perché, come egli non si stancava di ripetere, “bisogna non dimenticare”.
Una battaglia per la verità storica condotta sempre in modo rigoroso, sulla base di prove e documenti. Nella convinzione che, come scriverà Georges Bensoussan in “L’eredità di Auschwitz”, “la nostra arma non è la memoria, che costruisce, demolisce, dimentica o edulcora, ma solo la Storia”.
Mario Avagliano twitter @MarioAvagliano
(25 febbraio 2014)