Carlo Maria Martini, uomo del dialogo
Ci sono persone che lasciano un segno, forte e duraturo, e il successo della serata dedicata a Carlo Maria Martini ieri a Torino ne è un esempio. Il Teatro Gobetti, pur capiente, non è bastato ad accogliere tutti coloro che avrebbero voluto sentire le parole dell’archivescovo Bruno Forte e di David Meghnagi, espressamente invitati e fortemente voluti dalla famiglia a rappresentare la passione con cui il cardinale ha sempre cercato e portato avanti il dialogo ebraico-cristiano. Dopo il saluto del sindaco Piero Fassino, che lo ha ricordato come “uomo del dialogo e del pensiero solidale, che ha saputo far crescere tutti coloro che lo hanno conosciuto”, p. Carlo Casalone, presidente della Fondazione Carlo Maria Martini e Provinciale dei Gesuiti d’Italia ne ha ricordato uno dei tratti più caratteristici, l’attenzione alle dinamiche della coscienza e la capacità di non dare mai risposte preconfezionale, partendo sempre da un vero e profondo ascolto dell’interlocutore. Scriveva Martini nel 1991: “Il nostro problema fondamentale è quello di rimetterci in spirito contemplativo e in una situazione interiore di disponibilità”. Le parole di Bruno Forte, che del cardinal Martini è stato amico per lunghi anni, hanno tratteggiato una sorta di “cattedrale dello spirito” corrispondente agli aspetti principali della sua persona, a partire dalla citazione di alcune parole di Etty Hillesum. La giovane scrittrice olandese vittima della Shoah si definiva un “cuore pensante”, a ricomprendere lo sforzo dell’oggettività e dell’intelligenza razionale insieme a sensibilità, affetto, emozioni. E il cuore pensante del cardinal Martini univa la grande disciplina e la capacità di ascolto, lo studio e la volontà di capire, la profondità con cui ha voluto avvicinarsi ai settanta significati di ogni parola – come gli aveva insegnato il suo maestro spirituale – e il continuo riferimento agli insegnamenti della Torah. Lo sforzo costante di creare un linguaggio dell’interrogazione, non della risposta, un linguaggio capace di discernere e distinguere, e di rispettare l’altro aveva portato all’esperienza della Cattedra dei non credenti. E il ciclo di incontri a tema, che si sono svolti dal 1987 al 2002 nell’Aula Magna dell’Università di Milano, a cui il cardinale invitò esponenti sia dichiaratamente credenti che dichiaratamente non credenti per creare confronto, incontro e dialogo ebbe un successo di pubblico notevole, vi si ritrovava tutta la città, a prescindere dalla posizione filosofica o religiosa. I punti di contatto con l’ebraismo, l’attenzione all’uso delle parole, e al silenzio, il rispetto per le differenze e la volontà di custodire il rapporto con Israele erano così forti da fargli sognare di morire a Gerusalemme, cosa che invece non gli è stata possibile. Nel suo intervento David Meghnagi è partito dal proverbio ebraico appena citato da Bruno Forte, secondo cui “L’uomo pensa, Dio ride”, per una analisi di come l’umorismo sia una attività cerebrale complessa, che coinvolge profondamente tutte le strutture del cervello, e in particolare ricordando come il suo linguaggio sia l’unico luogo in cui “l’aggressività è rivolta esclusivamente verso se stessi, senza lasciare mai spazio all’uccisione dell’altro”. Ne consegue una risata non fragorosa ma sommessa, discreta, che non rivendica alcun primato, così come tipico dell’ebraismo. E la comunicazione vera è complessa, la volontà di conoscere qualcuno non può significare imporre la propria interpretazione ma solo porsi all’ascolto. E questa capacità di aprirsi, di chiedere, di essere disponibili era stata il segno più evidente della posizione del cardinale, che in una conferenza del luglio 1984 era stato capace di anticipare molti temi che oggi vengono dati per acquisiti, quasi per scontati. Fortemente simbolica, per esempio, la scelta di commentare alcuni brani fondamentali delle preghiere ebraiche non utilizzando testi della teologia cristiana, ma partendo dai commenti della stessa tradizione ebraica, e fortissima la scelta di fare costantemente riferimento ai caposaldi dell’ebraismo.
La grande tensione verso lo studio, nel rispetto delle reciproche diversità, e la comprensione e il rispetto, temi centrali della serata, hanno lasciato spazio all’emozione quando è salita sul palcoscenico Miriam Meghnagi, compositrice, studiosa e interprete della tradizione musicale ebraica che ha emozionato il pubblico con la sua voce.
E alla fine della serata erano commosse sia Giulia Facchini Martini nipote del cardinale, che ha moderato la serata, che particolarmente sua madre Maris Martini, anima promotrice dell’incontro, che ha spiegato come le sia rimasta la sensazione di avere “seminato un’idea, che ora sta andando in giro da sola, sulle sue gambe”. Anche Dario Disegni, che ha fattivamente collaborato all’organizzazione della serata ha espresso grande soddisfazione per il successo ottenuto soprattutto nel mostrare “l’apertura straordinaria e la capacità di dialogo”. “Molto interessante anche – ha continuato – il richiamare all’attenzione dei presenti una conferenza poco conosciuta in cui Carlo Maria Martini aveva anticipato concetti allora rivoluzionari”.
Ada Treves twitter @atrevesmoked
(4 marzo 2014)